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…. e sgranchiamoci un po’ le gambe!!
L’anno Alpinistico 1992 per me era iniziato nel Dicembre del 1991 con la salita della cascata di ghiaccio nota con il nome di “Limo Nero” nella Val Varaita di Bellino insieme ad un’amica dell’epoca; la cascata, di per sé non difficile, risulta però piuttosto lunga e articolata e bisogna salirla non solo in buone condizioni meteo, ossia con la temperatura giusta (non deve fare né troppo freddo altrimenti il ghiaccio potrebbe rompersi perché fragile, ne poco freddo altrimenti il ghiaccio non risulterebbe sufficientemente stabile e compatto), ma anche con una certa velocità trattandosi di 4 tiri di corda da oltre 50 metri ciascuno.
Io avevo invitato questa mia amica a salirla insieme a me ma, vuoi l’arrivo sul pianoro Ceyol decisamente in ritardo sui tempi previsti, vuoi la poca esperienza della mia compagna alla sua prima prova in questo tipo di salite, a metà cascata preferii scendere onde evitare pericolose complicazioni e nel più totale rispetto della severità della montagna. L’inverno 1992 mi aveva visto impegnato in un paio di gite scialpinistiche con il CAI di Savona e con Lino e Marco ma, come ho già avuto modo di dire, pur essendo un valente sciatore, lo scialpinismo mi è sempre piaciuto molto meno delle scalate su roccia. Ma fu proprio in quelle due gite che maturò l’idea di salire il Cervino per la via Carrel, la classica Italiana, che sale per la Cresta del Leone.

Le salite di Luglio sulle Marittime
Avevamo fissato per un long Week End di fine Luglio la nostra salita alla vetta del Cervino ma nelle settimane antecedenti volevamo fare un po’ di attività in montagna per verificare il nostro grado di preparazione. Infatti, “pronti…via” il primo fine settimana di Luglio Marco, Lino ed io siamo al rifugio Remondino con l’obiettivo di salire il torrione Querzola per la via classica Ghibaudo/Martini del 1973 una via di roccia di difficoltà medie (IV e V grado) che attraversa la pala ovest del torrione in una divertente arrampicata su roccia ottima costituita principalmente da placche fessurate e qualche diedro.
Debbo dire che tutta quell’area che da Terme di Valdieri sale ai rifugi Morelli, Bozano e Remondino sono stati in quegli anni per tutti noi terreno di salite bellissime, affrontate sempre con la testa ma con tanto spensierato entusiasmo….ed infatti la settimana successiva siamo al Morelli con l’obiettivo di salire la “Via dei Laureati” alla Cima Mondini aperta da Parodi e Villani nel 1984; a questo giro però con me e Lino si propone l’altro Marco (in quegli anni i Marco erano due) da noi tutti simpaticamente chiamato “Rebba”.
Come sempre a noi non piace fare le cose con la fretta e quindi saliamo al Morelli, cena pantagruelica facilitata dalla tessera del Cai che ci procura un leggero sconto, in branda dopo i soliti grappini di rito, e al mattino, già di buon’ora, siamo all’attacco della via per affrontare i 220 metri che si preannunciano divertentissimi, su uno sviluppo di 7 tiri di corda e difficoltà medie di IV grado. La salita ci regala una scalata piacevolissima su gneiss, il tipo di roccia di quel comprensorio, davvero eccellente. Lino ed io ormai ci ritenevamo pronti per la salita al Cervino.

La “via Carrel” al Cervino per la cresta S/O
Questa cresta vanta una storia davvero romantica intendendo per romanticismo quella sana competizione che si era instaurata nelle Alpi di quell’epoca dove l’Alpinismo stava vivendo la sua prima vera epopea. Siamo negli anni ’60 del 19° secolo e i tentativi di scalare le più importanti vette del firmamento Alpino e non solo, erano caratterizzati dall’iniziativa di illustri, nonché capaci, pionieri soprattutto di lingua Inglese. Il problema della scalata alla più bella montagna delle Alpi, il Cervino appunto, vedeva da alcuni anni impegnate due figure leggendarie, Jean Antoine Carrel guida di Valtournanche da una parte, e il facoltoso ed istruito Edward Whymper, inglese di nascita, dall’altra.
Dopo un tentativo datato 1862 effettuato insieme dal versante Italiano le loro strade si dividono….il valligiano Jean Antoine, robusto, nerboruto e di pochissime parole mal si adattava ai modi affettati e signorili di Whymper cosicché negli stessi giorni del Luglio 1865 i due danno l’attacco al Matterhorn (nome svizzero del Cervino), l’Inglese spinto dalla sua sete di conoscenza e anche dal desiderio di ottenere la fama che l’impresa gli avrebbe garantito, l’Italiano spinto da Quintino Sella, neo ministro dell’allora primo governo formatosi a seguito dell’unità d’Italia, e spinto anche dal premio in denaro che sicuramente gli fu promesso….con 12 figli da mantenere non doveva passarsela così bene ma, si sa, dove mangiano in 10 possono mangiare in 12 e avanti così….altri tempi. L’Inglese attacca da Zermatt lungo la cresta N/E o “cresta dell’Hornli” mentre l’Italiano da quella di S/O nota come “cresta del Leone”.

Il fato volle che l’Inglese arrivasse per primo sulla vetta il 14 Luglio 1865 mentre il nostro Jean Antoine ci arriverà solo tre giorni dopo….la discesa della cordata Whymper dalla vetta registrerà la mortale caduta di 4 dei 7 partecipanti all’impresa.
Ma torniamo al 1992, Lino ed io dopo essere saliti al rifugio “Duca degli Abruzzi” a quota 2802 metri e averci dormito, il mattino successivo ripartiamo per affrontare i poco più di 1000 metri di quota che ci separano dalla Capanna Carrel collocata a 3830 metri sulla “cresta del Leone”. Questa sezione di salita è caratterizzata da una parte su nevaio e sfasciumi e una consistente parte sulla cresta vera e propria dove si alternano passaggi su placche e su grandi diedri fessurati, a parti più innevate e quindi più pericolose….c’è da dire che quell’anno, nonostante fosse fine Luglio, il Cervino presentava un discreto innevamento forse dovuto a qualche nevicata dei giorni precedenti. In tutti i casi la nostra cordata ha preferito avvalersi poco delle catene e dei canapi lungo il percorso preferendo usare le nostre corde, salendo di conserva (cioè progredendo senza soste con una corda non più lunga di 20/25 metri piazzando qualche moschettone qua e la e facendovi scorrere la corda).

Arrivati alla Capanna Carrel che sembra un nido d’aquila tanto risulta esposta circondata com’è da strapiombi e abissi, ci prepariamo per la notte che, ne siamo certi, non risulterà piacevole. Infatti al mattino ci svegliamo indolenziti….il rifugio, almeno in quegli anni, non era un hotel a 5 stelle; subito si presenta il famoso passaggio detto “la sveglia”, il nome ne tradisce totalmente il significato, si tratta infatti di una sezione di roccia strapiombante che, anche se dotata di cavi e canapi, mette alla prova le nostre ancora dormienti giunture. La salita prosegue poi attraverso “l’Arete du coq” che supera diversi gendarmi di roccia per portarci attraverso diedri fessurati al “mauvais pas” e alla famosa roccia dove si può individuare la scritta col nome di Carrel probabilmente incisa dalla grande guida 127 anni prima.
Proseguiamo attraversando il “Linceul” piccolo ghiacciaietto molto inclinato e, attraverso la “Corde Tyndall”, riusciamo a superare i 30 metri attraverso i quali giungiamo nella sezione in cui si lascia la parete per guadagnare una cengia finale piuttosto inclinata che, a sua volta, porta al Pic Tyndall (4241 metri s.l.m.). Troviamo questo passaggio piuttosto innevato e di una neve poco consistente….il tratto risulta rischioso quindi poniamo la massima attenzione nel superarlo. Poco più avanti, si apre a noi una vista incredibile sui 2200 metri di spazio verticale che ci separa dal Breuil, siamo infatti sul Pic Tyndall.

Dopo aver superato il classico sali-scendi della cresta che unisce il Tyndall alla parete finale del Cervino con un andamento vagamente pianeggiante o in leggera salita, e dopo aver superato l’intaglio molto profondo che sapara il Tyndall dal muro finale del Cervino, ci apprestiamo a dare l’attacco agli ultimi 150 metri di scalata, dapprima su una parete moderatamente verticale solcata da una netta fessura e con buoni appigli per le mani e appoggi per i piedi, poi più verticale fino alla famosa “scala Jordan” che supera una sezione di 10/15 metri strapiombanti, e infine la “corda Piovano” che ci porta felicemente sulla vetta Italiana del Matterhorn (4476 metri s.l.m.).
Un anno nel complesso positivo
Dopo la classica stretta di mano con Lino e le foto di vetta, rientriamo velocemente anche perché ci aspetta una discesa verso il Breuil di circa 2500 metri….e bisogna farla ancora in giornata.

La salita al Cervino, così come la salita alla Piramide Vincent sul Rosa e al Monte Bianco per la via classica da Chamonix mi avevano regalato momenti di intima felicità che solo chi è dedito all’Alpinismo può capire appieno, oltre alla gioia di trovarsi in quei posti straordinari, la meraviglia per gli occhi che possono vedere panorami mozzafiato che restano indelebili nella mente, vi è anche la consapevolezza di esserci arrivati con le proprie forse, competenze ed esperienza. L’anno 1992 terminava con le abituali scalate a Finale Ligure mentre l’attività di chiodatore subiva una frenata in quegli anni così densi di salite in montagna.
L’anno si chiudeva in modo alquanto positivo, la montagna si confermava la mia grandissima passione e l’attività di palestra (avevo ripreso a 33 anni a fare Karate, una vecchia passione avuta dai 16 ai 20 anni) non mi procurava, pur piacendomi, le stesse sensazioni che mi regalava l’arrampicata su roccia e l’Alpinismo….mal sopportavo gli ambienti chiusi, preferendo gli spazi aperti e il senso di libertà che mi procura l’attività in montagna.
