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Più volte, nei nostri precedenti approfondimenti, abbiamo evidenziato l’importanza dell’ARTVA (o ARVA), ovvero l’Apparecchio di Ricerca Travolti in Valanga. Vediamo ora di entrare maggiormente nei dettagli tecnici, e delle modalità di utilizzo, basandoci sulle più recenti indicazioni del Club Alpino Italiano.
Meglio il digitale
Anche in materia di ARTVA, che come ben sappiamo è sostanzialmente un apparecchio radio che può funzionare, alternativamente, sia in trasmissione che in ricezione, la tecnologia ha fatto passi da gigante: i “vecchi” modelli analogici, basati unicamente su un riscontro sonoro – il caratteristico “bip” tanto più forte quanto più ci si avvicinava all’ARTVA sepolto – sono stati praticamente soppiantati dai moderni apparecchi digitali.
Questa nuova generazione di strumenti è dotata di un ampio schermo, sul quale, una volta captato il segnale dell’ARTVA sepolto, una freccia ci indica in quale direzione muoverci, e la distanza in metri dall’apparecchio trasmittente. Una vera rivoluzione, e non a caso nel corso di prove comparate, è stato “dimostrato un significativo miglioramento dei tempi necessari per la localizzazione dei sepolti” utilizzando gli ARTVA digitali rispetto a quelli analogici. E ricordando che quasi tutte le possibilità di ritrovare vivo un travolto da valanga si giocano nei primi 20 minuti, massimo 30, questo “significativo miglioramento” potrebbe fare la differenza.

Dovendo quindi acquistare un ARTVA, scegliere sicuramente un modello digitale di ultima generazione a tre antenne, ma non solo: anche chi già possiede un apparecchio analogico, valuti con grande attenzione la sua sostituzione. Se possibile, privilegiare modelli con dispositivi di “marcatura per seppellimenti multipli”, in grado di riconoscere e gestire più segnali in trasmissione, ovvero più persone travolte.
Anche nel caso di gruppi di amici o di appassionati, l’ideale sarebbe possedere la medesima tipologia di apparecchio.
Come indossarlo
Inutile dire che l’ARTVA deve essere indossato direttamente sul corpo, con gli appositi lacci, e non certo infilato nello zaino, che nel caso di travolgimento da valanga potrebbe essere “strappato” dal corpo e finire chissà dove. L’immancabile telefono cellulare dovrebbe essere posto a una certa distanza dall’ARTVA (almeno 20 – 30 centimetri) e nel caso malaugurato di un effettivo travolgimento, tutti i sopravvissuti dovrebbero spegnere i propri telefoni, per evitare possibili interferenze (fatta eccezione per il telefono utilizzato per comunicare col Soccorso Alpino).
A ogni inizio gita, deve ovviamente essere eseguita una verifica di funzionamento degli ARTVA di tutti i componenti del gruppo: un’operazione di cui si occupa il “capogita”, oggi facilitata e velocizzata dalla cosiddetta “funzione test di gruppo” prevista dai moderni apparecchi digitali.

Esercitarsi prima dell’uso
Specie dopo aver acquistato un nuovo ARTVA, è indispensabile un periodo di apprendimento, preferibilmente da condividere con gli abituali compagni di gita. Prima di tutto, occorre leggere con attenzione il manuale di uso dell’apparecchio, prendendo dimestichezza con le funzioni, i comandi etc.
Si dovrebbero poi eseguire alcune prove di funzionamento e di ricerca, sempre in collaborazione con i compagni di gita: capire a quale distanza viene captato il segnale, eseguire prove di ricerca per valutare la precisione delle indicazioni fornite dallo schermo digitale, far nascondere ad un amico il suo ARTVA in trasmissione e provare a ritrovarlo, e altri simili. Questi esercizi possono essere eseguiti tranquillamente anche a casa, ma dovrebbero essere ripetuti nel corso di qualche uscita sulla neve, in condizioni più realistiche. Esercitazioni che saranno sicuramente più fruttuose nel caso di gruppi numerosi, potendo simulare anche più di un travolto.

Questa sorta di vero e proprio addestramento potrebbe essere svolto soprattutto nel caso di gite brevi, o ridotte nella lunghezza da condizioni di tempo incerto, o durante una sosta in rifugio. Ogni occasione dovrebbe essere utilizzate per “fare esperienza”, con la speranza di non doverla mai mettere in pratica.