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Cate Campbell, sorella di Bronte e nazionale australiana di nuoto parla degli aspetti meno noti del ‘suo’ sport
Per chi non la conoscesse Cate Campbell è una nuotatrice australiana, sorella maggiore di Bronte, anche lei atleta di livello mondiale. Ha parlato a lungo della situazione del nuoto, partendo dal tipo di educazione fornita ai più giovani:
“Ai più giovani andrebbero dati strumenti diversi da quelli che ho avuto io. È insensato arrivare al punto di rottura per reagire.“
La nuotatrice quattro volte oro olimpico sostiene la centralità della performance nel giudizio su un atleta e parla delle problematiche legate al sessismo nei controlli sul peso:
“Dovrebbe essere la performance a stabilire che cosa c’è e che cosa manca, invece è semplicemente il colpo d’occhio o peggio il calcolo della massa grassa o di una serie di dati superati. Se un uomo non rende come potrebbe gli si possono far notare eccessi di peso, magari. Per una donna il controllo scatta pure se sei appena diventata campionessa mondiale. Attenta non sei come dovresti. Si sono mai chiesti se a volte delle controprestazioni siano legate al fatto che l’atleta mangia poco invece che troppo?.”

A detta dell’atleta l’impronta dello sport è fortemente maschilista:
“Ha la struttura della società. È abituato a un punto di vista maschile il che ha portato a delle storture. Fino a qui, nelle migliori delle ipotesi, abbiamo curato i sintomi, è ora di affrontare la complessità di un sistema che così come è non funziona più.”
Saper declinare il successo in più sfaccettature, senza considerare fallimento qualsiasi risultato che non sia la vittoria di quante più gare possibile è qualcosa che, a detta di Cate, il nuoto dovrebbe assolutamente fare, gli esempi di Thorpe e Phelps lo dimostrano:
“Insistere sul fatto che il successo ha diverse definizioni, se lo avessimo fatto prima Ian Thorpe, un mito del nuoto, avrebbe vinto di più. Non avrebbe smesso a 23 anni, non avrebbe provato a ricominciare tanto tardi. Avrebbe dichiarato di essere davanti a un esaurimento e si sarebbe preso il tempo di uscirne. Allora era impensabile. Il nuoto deve anche questo a Phelps: quando ha salutato, nel 2012 non era pronto a lasciare la piscina ma non ce la faceva più. Ha detto addio e poi si è ripresentato, rinvigorito senza mentire: ero a pezzi eppure non avevo ancora dato tutto. Sorpresa. Poi c’è stata Simone Biles che a Tokyo ha diminuito le gare e le aspettative e lo ha fatto lì, senza scuse. Quando i campioni aprono nuove vie cambia la percezione.”
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Tommaso Serena