Il Marecchia è il fiume più importante che attraversa la città e la provincia di Rimini. Talmente importante che secondo alcuni, il suo antico nome romano “Ariminus”, diede il nome all’insediamento che fu prima di Etruschi e Celti e poi, dopo la battaglia di Sentino nel 295 a. c., divenne colonia di Roma e snodo importantissimo per il commercio verso la Gallia Cisalpina. Rimini è, infatti, attraversata da tre strade consolari. La Flaminia che parte da Roma e proprio a Rimini finisce per dar vita, dal ponte di Tiberio in poi, sia alla via Emilia che portava merci ed eserciti fino a Piacenza che alla Popilia, verso Ravenna.

Anche noi partiamo dal Ponte di Tiberio ma pedaliamo su un’altra strada: la ciclabile che da questo storico monumento voluto dagli imperatori Augusto prima e Tiberio poi e “inaugurato” nel 21 d.c., porta fino all’alta Valle del Marecchia.
Il nostro itinerario, però, si ferma prima, nella città di Verucchio, culla della famiglia Malatesta e dell’incredibile civiltà villanoviana. Dal ponte a Verucchio, si tratta di percorrere in mountain bike circa venti chilometri. Il punto di partenza è, in pratica, nel centro storico di Rimini. Dal ponte di Tiberio si scende subito nel parco Marecchia e, attraversatolo, si arriva sulla sponda del fiume. Da lì parte una ciclabile con fondo in ghiaina che, con una leggera ma costante pendenza (0,7% di media), ci porta fino a Verucchio e, volendo, fino a Novafeltria, il centro commerciale più importante della vallata.
Cicloturismo all’ombra dei canneti
La pendenza costante della ciclabile e il fondo sdrucciolevole rendono la pedalata un po’ più impegnativa di quanto non sembri, ma niente che non possa essere affrontato da un biker appena sufficientemente allenato. Per di più, per gran parte dell’itinerario si pedala all’ombra. Risalendo il Marecchia, a destra si è accompagnati dal gorgogliare delle acque e da tanti canneti mentre, a sinistra, alberi di diverse tipologie ombreggiano la pedalata.

Arrivati alla frazione di Villa Verucchio, l’insediamento industriale ai piedi della collina su cui è posta Verucchio, si lascia la ciclabile e si sale, per una strada piuttosto impegnativa con pendenze attorno al 10%, verso i 330 metri sul livello del mare del capoluogo comunale. Dal basso, ci accompagna la visione della Rocca Malatestiana. Si tratta di una fortificazione le cui parti più antiche risalgono al 1100. In questa fortezza nacque Malatesta da Verucchio detto il “Mastin Vecchio”, capostipite della famiglia che, proprio partendo da Verucchio, dominò il territorio riminese per tutto il Medioevo e il Rinascimento, duellando in ricchezze (e non solo) con i Montefeltro da Urbino e i Medici di Firenze.
Finita la salita, si arriva nel cuore di Verucchio: Piazza Malatesta si caratterizza per la presenza del palazzo municipale, bell’edificio in stile con sei arcate alla base. Prima di arrivare in piazza, sulla destra, si apre un bellissimo panorama sulla Valmarecchia in direzione di Rimini. Nelle belle giornate si vede anche il mare.
Cicloturismo romantico e culturale
Se si scende dalla bici e ci s’incammina per le vie del centro storico, ci si tuffa in angoli di un passato romantico che a Verucchio è presenza viva: tutte le case del centro, infatti, sono abitate. Così come, covid permettendo, funzionano i tanti piccoli e caratteristici negozi: il panettiere, la farmacia, l’artigiano del ferro…
Nel centro, a parte la Rocca Malatestiana, da vedere assolutamente è la Chiesa della Collegiata. Edificata nel 1863, al suo interno accoglie un importante crocifisso ligneo del ‘300 di scuola giottesca riminese. Poco distante dalla Collegiata, salendo in direzione sud/ovest, si trovano sia un’altra Rocca Malatestiana, detta del Passerello, sempre edificata dai Malatesta e oggi monastero delle monache di Santa Chiara; sia la porta del Passerello che immetteva nella Rocca. Oggi è stata ricostruita con i materiali originali dopo essere stata stupidamente abbattuta nel 1964.
Tornando in piazza Malatesta si può poi scendere, percorrendo tutta via Sant’Agostino, verso il Museo Civico Archeologico. Questa è una piccola importante perla della cultura. Nel Museo si trovano, infatti, numerosissimi reperti di epoca villanoviana etrusca che vanno dal X al VII secolo avanti Cristo. Gioielli in oro e ambra; corredi in ceramica e in bronzo ma, soprattutto, l’incredibile trono ligneo che doveva appartenere al capo di questa prima comunità di “verucchiesi”. Tutti i beni presenti nel Museo appartengono alla Soprintendenza e dunque possono essere fotografati solo con un’autorizzazione preventiva. Se si vogliono ammirare, non resta che recarsi in questo piccolo ma prezioso scrigno per riempirsi gli occhi di una bellezza che oltrepassa il tempo.

Tornando in piazza Malatesta e continuando a salire, prima di arrivare al castello malatestiano, ci s’imbatte in uno dei tanti ristoranti tipici del paese: La Rocca. Qui, in inverno, servono un piatto tipico della cucina verucchiese: “I Zavardoun” o Zavardoni, italianizzando il termine, I Zavardoun sono, infatti, una pasta tipica di Verucchio. Certo, li potete trovare anche a Rimini e nei dintorni ma sappiate che sono una pasta fresca peculiare di questo borgo. Su come siano nati, non ci sono storie e leggende che lo raccontino (almeno, che io sappia). Come per i Maltagliati, potrebbe trattarsi delle rimanenze della pasta che serviva per fare le tagliatelle, alle quali si aggiungevano acqua e farina di polenta. Spessi e grossolani, ognuno è diverso dall’altro. Un piatto povero domenicale della tradizione ma ricco di gusto.
Gli ingredienti principali sono farina bianca, farina di polenta e acqua. Materie prime semplici da accompagnare, quindi, con un sugo sostanzioso. Di salsiccia, ad esempio. Questa è la preparazione: su un tagliere, create una fontanella con i due tipi di farina, un pizzico di sale, un cucchiaio d’olio e pian piano aggiungete acqua tiepida per ottenere una pasta soda ma elastica e morbida. Stendete la pasta con il mattarello fino a ottenere una sfoglia abbastanza spessa. Con la rotella, tagliate dei rombi che vanno poi disposti su della carta forno infarinata fino alla cottura in acqua salata. Cuocete i Zavardoun per 8-9 minuti in acqua per poi condire con il sugo.
Di Flavio Semprini