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Luigi Mazzola ha lavorato dal 1988 al 2009 in Ferrari dapprima come Race Engineer per poi concludere con il ruolo di Dirigente Coordinatore dello sviluppo della performance. Vinse 8 Mondiali Costruttori e 6 Mondiali Piloti. Una volta terminata l’avventura con la casa di Maranello ha intrapreso la carriera di speaker aziendale, executive coach e trainer aziendale nella quale ha traslato, per applicarli ai più elevati livelli di business aziendale, quei messaggi appresi nel mondo della F1.
A TheSportSpirit ci parla di cosa significhi lavorare per il Cavallino Rampante, della sua attuale professione, riferita anche al periodo che stiamo vivendo, e come vede, pur alla luce del corrente stop in atto, la Ferrari nel Campionato F1 2020.
Cosa ha significato professionalmente ed umanamente lavorare per ben 21 anni in Ferrari?
Fin da bambino avevo il sogno di lavorare nel motorsport e specificatamente in Ferrari ed è per questo che ho intrapreso una carriera di studi volta a realizzare tutto ciò. Lavorare per il Cavallino Rampante è qualcosa di diverso rispetto a qualsiasi altra azienda nel mondo poiché vi è un marcato senso di appartenenza da parte di tutti i dipendenti, i quali sono accomunati dalla grande passione per il lavoro che svolgono. Vi è poi, a tutti i livelli, unidirezionalità cioè lo spingere tutti nella stessa direzione.
C’è poi l’aspetto, non secondario, dell’ambizione personale di ognuno che vi ci lavora che però, per il fatto di far parte del brand numero 1 al mondo, spegne sul nascere quelle situazioni che potrebbero avere risvolti negativi date dal più che legittimo ego che ognuno di noi ha.
Si usa dire a tal proposito “Mondo Ferrari” e “Famiglia Ferrari” non a caso perché ricordo che quando ci lavoravo erano innumerevoli le iniziative volte al rispetto dell’aspetto umano dei dipendenti riconoscendo gli sforzi che ognuno di noi faceva per svolgere al meglio il proprio incarico. In particolare, veniva data importanza anche alle famiglie dei lavoratori organizzando eventi per i bambini (regali, feste, circo ecc..) e celebrazioni per i successi ottenuti.
Tutto questo creava quel senso di famiglia e di aggregazione che rappresentava un plus fondamentale per fare sempre meglio il proprio compito per vincere o, per meglio dire, per competere per il successo.

Lei attualmente è speaker aziendale, executive coach e trainer aziendale; nello specifico di cosa si tratta?
Come speaker aziendale o testimonial svolgo, presso aziende che fanno team building, convention o aggregazione aziendale, un lavoro che ha come obiettivo di sviscerare i loro messaggi che devono dare ai dipendenti attraverso il racconto delle esperienze che ho vissuto all’esterno.
Come Executive coach nel 2001 ho iniziato, avendo come target la performance, lo studio dei soft skills in quanto dovevo migliorare le mie caratteristiche gestionali. Svolgo questa attività sia per aziende che nel mondo dello sport come ho fatto, per esempio, con Novak Đoković. In qualità di trainer aziendale effettuo la formazione sul managing e sulla leadership oltre che nelle aziende anche all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Com’è nata l’idea di iniziare questa professione apparentemente così diversa da quanto svolgeva in Ferrari?
Il tutto è nato quando ero ancora in Ferrari in quanto mi sono ritrovato, fin da giovane vista la repentina ascesa della mia carriera, a dover apprendere le capacità necessarie a gestire le persone in quanto uso dire che un discorso è fare le cose da sé e tutt’altro è farle fare ad altri. Mi resi conto quindi che avevo molte aree di miglioramento e cominciai a leggere e studiare per apprendere i soft skills (comunicazione, relazione interpersonale ed intelligenza emotiva).
Una volta conclusa la mia esperienza con Maranello ho pensato ad utilizzare le competenze acquisite per portarle alle aziende attraverso i tipici messaggi dello sport (leadership, gioco di squadra, intelligenza emotiva e capacità di relazionarsi) che necessitano comunque di essere decodificati per renderli applicabili in un contesto diverso da quello sportivo.
Questo è un lavoro che mi dà particolarmente soddisfazione quando, il giorno dopo che sono stato in un’azienda, verifico che quanto detto il giorno prima è rimasto e non è andato perso il tutto grazie al processo di decodificazione dei messaggi.
Come vive lei personalmente questo periodo di pandemia?
In questo momento sono fondamentalmente due le paure che abbiamo: quella fisica di ammalarsi o di morire e quella economica ed è per questo che le persone vanno rincuorate e sollecitate e far capire loro che siamo esseri meravigliosi “no limits” e soggetti al cambiamento.
Proprio il cambiamento è uno di quei messaggi che proviene dallo sport, ed in particolare dalla F1 di vent’anni fa, la quale, avendo libero sviluppo e test senza i limiti attuali, produceva ad ogni gara un’auto praticamente nuova. Questo è un esempio meraviglioso di come il cambiamento sia una costante il che sembra, di primo acchito, un paradosso ma in un mondo ipertecnologico come la F1 deve essere appunto una costante altrimenti si è spacciati.
Quindi anche la situazione che stiamo vivendo ora, sia a livello di salute che di clausura, porterà, una volta conclusa, ad un inevitabile cambiamento a cui dovremo essere aperti ed “accoglierlo” con quel coraggio che io cerco sempre di portare nelle aziende quando faccio da testimonial. Ed anche a proposito del coraggio posso dire quanto esso venga traslato dalla F1 nella quale il pilota è conscio di rischiare la vita però allo stesso momento vive la gioia di guidare non potendo avere paura altrimenti non uscirebbe neanche dai box. Cambiamento e coraggio vanno quindi portati al nostro oggi che stiamo vivendo cercando inoltre di trasmettere il messaggio, altrettanto importante, di essere positivi.
In che modo le persone devono affrontare questa fase della loro vita?
In questo stato, in cui è palese come non stiamo vivendo ma stiamo sopravvivendo, dobbiamo prepararci al dopo e cioè a cosa succederà quando questa situazione terminerà. Tutti noi abbiamo il dovere di capire che oltre alla paura, più che legittima, siamo dotati di coraggio e quindi, se ci poniamo passivamente di fronte al dramma attuale, diamo vita al concetto di timore il quale è la proiezione futura di un qualche cosa che potrebbe accadere ma che in realtà adesso non sta capitando.
In sostanza il non proporsi passivamente significa non essere la causa di determinate situazioni ma l’effetto. Il tutto va messo in pratica, e lo ripeto ancora, con l’ausilio del coraggio che, come uso dire, non si compra ma di cui l’essere umano è già dotato assieme a tre aspetti che caratterizzano tutti noi: i valori, le emozioni e l’essere spirituali. Tali aspetti dovranno uscire fuori, anche con prepotenza, al termine della pandemia perché ci sarà richiesta creatività, passione e capacità di vivere emozioni sia positive che negative.
Mi preme sottolineare come non si debba parlare, a proposito del periodo che stiamo vivendo, di crisi in quanto sia nella vita reale che nel mondo del business se c’è crisi è perché la creiamo noi. Intendo dire che esiste sì la crisi, ma è quella esterna della quale non possiamo farne a meno in quanto viviamo in un mondo di dualità: buoni-cattivi, positività-negatività, ecc… Lo sport, anche in questo caso, ci insegna qualcosa e cioè come il termine crisi non sia per nulla adatto, per esempio, a descrivere una sconfitta perché se c’è chi vince c’è chi perde; tutt’al più si può parlare di crisi in caso di infortunio ma non per un risultato.
In sostanza, e questo è fondamentale, bisogna assolutamente evitare che si innesti la cosiddetta crisi interna che è il venir meno della consapevolezza, oltre che dei propri valori, sia del sapere che siamo emozione che dell’essere consci che siamo esseri spirituali. Anche qui lo sport mi ha insegnato che se l’essere umano raggiunge la coscienza di essere dotato dei tre aspetti di cui sopra non si creerà una crisi interna.

Ha dei consigli da dare a chi sta iniziando una carriera sportiva?
Per prima cosa consiglio di avere la consapevolezza della capacità dell’utilizzo delle emozioni il che vuol dire avvicinarsi ad un mondo di intelligenza emotiva informandosi e facendo, perché no, un test per capire quanto della componente conscia, cioè le emozioni, si stia utilizzando per raggiungere la performance.
Per secondo raccomando di scavare dove sono la motivazione e la passione che lo portano ad essere atleta; intendo dire di capire come la sua attività di atleta soddisfi i suoi valori.
Come terzo suggerisco di prepararsi in maniera certosina e non lasciare nulla di intentato facendo tutto quello che è necessario sia a livello di preparazione atletica, mentale che nutrizionale. Bisogna esasperare l’addestramento il più possibile senza dimenticarsi, nel mentre dello svolgimento dell’attività, di lasciarsi andare e divertirsi in modo che non sia lui a gestire la sua performance ma sia il suo inconscio a farlo.
Al netto della pausa forzata che il circus sta vivendo come vede la stagione attuale della F1 ed in particolare la Ferrari?
Alla conclusione dei test invernali la Ferrari aveva dichiarato di essere più lenta ma, al contempo, di aver visto una macchina con più carico rispetto al 2019. Proprio l’avere più carico favorisce le situazioni con temperature più calde nel gestire le gomme il che a Febbraio, anche se i test si sono svolti a Barcellona, non si può avere. Nelle prove si è quindi vista una Ferrari più lenta il che è prevedibile se il team ha perseguito il carico aerodinamico a discapito dell’efficienza; la situazione dovrebbe cambiare in favore del Cavallino Rampante con il proseguo del calendario dovendo affrontare piste con temperature più elevate dove entrerà quindi in gioco maggiormente il carico il che mi fa essere speranzoso.
A Barcellona abbiamo visto quindi Mercedes e Red Bull in buona condizione anche se, nelle simulazioni gara, la Ferrari non mi è parsa messa male pur in condizioni di freddo. Adesso l’attenzione è su quando e come si scenderà in pista e a tal riguardo le ipotesi sono molte tra cui quella di far svolgere le rimanenti gare senza l’assegnazione di punti validi per il Campionato del Mondo ma con lo scopo, per lo più, di far entrare nelle casse delle scuderie quei denari necessari ancor più per i team minori.