Share This Article
Nella vastità dell’ambiente montano, i rifugi e i bivacchi rappresentano delle vere e proprie oasi, dove trovare riparo in caso di maltempo e dove poter soggiornare per ripartire l’indomani, verso altre destinazioni.
Mentre alle medie e basse quote i rifugi costituiscono in genere semplici destinazioni di facili escursioni domenicali, ad alta quota essi rappresentano veramente luoghi che possono salvare la vita, nel mezzo di un’improvvisa tormenta.
In Italia esistono ben 774 rifugi e bivacchi facenti capo al Club Alpino Italiano (CAI), sparsi in tutte le regioni: un patrimonio non solo strutturale e turistico, ma anche storico e culturale, con luoghi e nomi che hanno fatto la storia dell’alpinismo.

Rifugi e bivacchi per tutti i gusti
Secondo la classificazione del CAI, i rifugi alpini si possono suddividere in cinque categorie, sulla base sostanzialmente della facilità di raggiungimento e della modalità di rifornimento di materiali e viveri: categoria “A”, ovvero rifugi raggiungibili in auto o al massimo con dieci minuti di cammino; “B”, ovvero rifugi raggiungibili con impianto a fune, o camminando non più di dieci minuti dall’arrivo dell’impianto stesso; “C, D, E” sono rifugi con tempi di accesso crescenti (la categoria “E” deve avere un tempo di accesso comunque superiore alle quattro ore di cammino) e con sistemi di rifornimento che, a seconda dei casi, possono essere mezzi motorizzati, teleferiche o elicotteri, in base all’asperità del terreno.

Più nel dettaglio, i rifugi sono strutture recettive finalizzate alla pratica dell’alpinismo e dell’escursionismo, organizzate per dare ospitalità e possibilità di sosta, ristoro, pernottamento e servizi connessi, con obbligo del ricovero di emergenza. Sono dotati di materiale di pronto soccorso e di piazzola per elisoccorso, se non raggiungibili con altri mezzi motorizzati, e del cosiddetto locale invernale aperto nei periodi di chiusura.
I bivacchi fissi sono invece strutture, in metallo o muratura, di modeste dimensioni, con capienza normalmente non inferiore a sei posti e non superiore a dodici, finalizzati alle pratiche alpinistiche, generalmente ubicati nelle zone più elevate e impervie delle catene montuose, sempre aperti. Essi sono dotati dei servizi minimi utili al ricovero di emergenza, con materiale di primo soccorso.
Dobbiamo poi ricordare le capanne sociali, ovvero sostanzialmente dei rifugi “semplificati” che svolgono la funzione di sede sociale in quota, a volte riservate ai soci.
Molto più che un albergo
Soggiornare in un rifugio dei nostri giorni è molto diverso rispetto a un pernottamento di qualche decennio fa, quando alcuni rifugi avevano veramente un “sapore” pionieristico, per non dire epico: niente energia elettrica, niente acqua corrente (tanto, c’è il torrente vicino), pareti a volte di legno dove il vento filtrava allegramente, camerate comuni sovraffollate, cucina “casalinga” all’ennesima potenza, niente telefono (e ovviamente i cellulari ancora non esistevano)…. Pareva di essere agli albori dell’alpinismo, ai primi del ‘900.
In circa mezzo secolo, complici gli obblighi di adeguamento alle normative in materia antincendio, igienico e strutturale, i rifugi si sono trasformati in confortevoli alberghetti di montagna, ma il loro “spirito”, tranne forse nei periodi di maggiore affluenza e ressa estiva, non è mutato.

Soggiornare in un rifugio, ancora oggi, rappresenta una vera e propria esperienza educativa, per i bambini quasi un’esperienza di vita, così diversa dalla loro quotidianità, che ricorderanno a lungo. Il “silenzio notturno” dalle 22 alle 6, le regole di comportamento, l’assoluto silenzio, il “buio” esterno che rende il cielo stellato di una bellezza unica, i rapporti umani che si instaurano con incredibile facilità, la sensazione di essere “protetti” in una sorta di oasi di calore in un ambiente freddo e inospitale, specie se all’esterno imperversa la bufera o un violento temporale…, tutte sensazioni che rendono il soggiorno in un rifugio una delle più belle esperienze del nostro “andar per monti”.