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Che cos’è e perché può colpire anche gli atleti. Il caso di Alice Ferri
Nell’immaginario collettivo, la sindrome da stress post traumatico (PTSD) è legata ai soldati americani di ritorno dal Vietnam che, tornati a casa, ne subivano gli effetti. Secondo il National Institute of Mental Health (NIMH) americano, caratteristica della PTSD è che la vittima rivive ripetutamente l’esperienza traumatizzante sotto forma di flashback, ricordi, incubi o in occasione di anniversari e commemorazioni. Le persone che ne sono affette manifestano difficoltà al controllo delle emozioni, irritabilità, rabbia improvvisa o confusione emotiva, depressione e ansia, insonnia, ma anche la determinazione a evitare qualunque atto che li costringa a ricordare l’evento. Un altro sintomo molto diffuso è il senso di colpa per essere sopravvissuti o non aver potuto salvare altri individui. Dal punto di vista più prettamente fisico, alcuni sintomi sono dolori al torace, capogiri, problemi gastrointestinali, emicranie, indebolimento del sistema immunitario. La diagnosi di PTSD arriva quando, sempre secondo il NIMH, il paziente presenta i sintomi caratteristici per un periodo di oltre un mese dall’evento che li ha causati.
La PTSD, oggi
Partendo dai gravi problemi evidenziati dai soldati tornati dalle guerre, ci si è poi accorti che questa sindrome colpisce anche vittime di attacchi terroristici, incidenti aerei, terremoti, inondazioni e altri tragici eventi. Oggi il PTSD è ritenuto una forma di disagio mentale che si sviluppa in seguito a esperienze fortemente traumatiche e, quindi, può manifestarsi in persone di tutte le età, dai bambini e adolescenti alle persone adulte, e può verificarsi anche nei familiari, nei testimoni, nei soccorritori coinvolti in un evento traumatico. Può anche arrivare da un’esposizione ripetuta e continua a episodi di violenza e di degrado. La diagnosi, che non è mai semplice, viene genericamente indicata come “condizione di stress acuta che si manifesta in seguito all’esposizione a un evento traumatico”.

La PTSD nello sport
Ma cosa c’entra tutto questo con lo sport e la pit bike in particolare? Proviamo a spiegarlo citando, pari pari, un testo della dottoressa Benedetta Bonato, psicologa e psicoterapeuta, pubblicato sul sito rbremedia.it. Scrive la dottoressa Bonato che: “(nello sport) ci possono essere anche dei contraccolpi psicologici, oltre a quelli fisici e questi vanno presi in altrettanta considerazione. Si può arrivare, nei casi più intensi, anche a parlare di PTSD. Personalmente ho seguito degli sportivi che hanno avuto traumi di gioco o incidenti che li hanno allontanati anche dallo sport per i quali la forma di elaborazione del trauma è passata anche per un intervento psicologico di supporto e di elaborazione più intensa. Alcuni hanno manifestato sintomi propri del PTSD quali insonnia, agitazione, incubi, pensieri intrusivi e flashback relativi al momento del trauma. Altri meno, ma si sentivano meno sicuri all’idea di tornare in campo o di prepararsi al meglio per una nuova gara. Cosa serve fare se si sente che quel trauma- non solo sportivo – coinvolge aspetti di vita maggiori e affatica il ritorno normale alle attività quotidiane?”.
La PTSD e la resilienza

Secondo la dottoressa Bonato la frase chiave è: “Riattivare la resilienza. La Resilienza è, in parole semplici, la capacità delle persone di fare fronte agli eventi avversi della vita e riprendere le attività anche con dei cambiamenti, senza farsi destabilizzare troppo. Siamo tutte persone resilienti ma chi più e chi meno per tratti di personalità e per come siamo stati abituati a risolvere i piccoli “traumi” o abbiamo appreso ad affrontare le difficoltà. Ecco dove possiamo aiutarci! La resilienza va riattivata, le risorse vanno riattivate. Può bastare un percorso di sostegno ma, talvolta, si possono usare tecniche più specifiche. Una su tutte che in questi anni si è molto diffusa è l’EMDR (Eye Movement Desesitization and Reprocessing) che prevede alcune sedute con un trainer esperto nella tecnica per riaffrontare il trauma ed elaboralo anche più rapidamente. In breve si tratta di sedute con un’elaborazione ad ampio spettro del trauma (cognitiva, emozionale e fisica) accompagnata da movimenti oculari stimolati dal terapeuta che aiutano a riconnettere le parti predisposte all’elaborazione nel cervello che, dopo un trauma, risultano più disconnesse o affaticate dalla tensione e dall’ansia”.
Il caso di Alice Ferri

Questo il discorso, che appare molto complesso. Per calarci un po’ di più nella realtà ne abbiamo parlato con la pit biker Alice Ferri che intervistammo l’anno scorso dopo il grave incidente che le impedì di correre per tutta la stagione 2021. Ad Alice, che è iscritta alla 12 Pollici Italian Cup anche quest’anno, proprio in seguito a quell’incidente è stata diagnosticata la sindrome da stress post traumatico.
Alice, come si è arrivati a questa diagnosi? “Il mio incidente risale a giugno dell’anno scorso ma i primi sintomi si sono manifestati solo a ottobre – inizia a spiegare Alice. – Presentavo un livello di ansia molto alto, flash back involontari del mio incidente che potevano anche essere seguiti da attacchi di panico. Poi incubi e insonnia. Avevo ricominciato ad andare in moto ma spesso, di colpo, mi passava la voglia. Ne parlavo con amici e con il mio compagno e dicevo: “Non voglio correre, voglio stare a casa”. Era una spirale dalla quale non riuscivo a uscire. Così, a metà gennaio, sono andata da uno psicoterapeuta di Piacenza, Lorenzo Ranieri e lui ha subito individuato i miei problemi come sindrome da stress post traumatico. Oggi, tendenzialmente, riesco a gestire i flash back perché, grazie alla psicoterapia, ho imparato ad accettarli: so che arrivano; che non posso farci niente ma anche che come sono arrivati se ne vanno. Quando, invece, mi prendono forti attacchi di panico devo smettere di lavorare e fermarmi”.
“Rivoglio indietro la mia vita”

Da quando hai iniziato con la psicoterapia, hai ripreso ad andare in moto? “Sì, però non con la stessa frequenza di prima. Magari decido di andare ad allenarmi ma poi mi capita di bloccarmi e devo rinunciare. Sono più serena quando salgo in sella a una motard perché non è una pit bike, la moto con la quale ho avuto l’incidente”.
Sei iscritta al 12 pollici, pensi di correre? “Ci provo. Mi ero iscritta prima di iniziare a soffrire della sindrome da stress post traumatico e non vorrei lasciar perdere. So di non essere in condizione e che gareggio per partecipare: con quello che mi è successo il mio livello di competitività è molto basso. Del resto, il mio psicoterapeuta pensa che mi potrebbe fare bene e, anche se è un po’ presto, lui crede che debba provare a tornare in gara. In realtà, andare in moto è la mia vita ed io la rivoglio indietro la mia vita di prima: senza incubi, senza attacchi d’ansia, senza flash back. Se devo tornare a correre per superare questo disagio, lo faccio. Non voglio mollare una cosa per la quale ho lottato tanto”.
Combattere la PTSD

Cosa fai per combattere la malattia? “Premesso che la PTSD può essere trattata con farmaci e tecniche di rilassamento, il dottor Ranieri, per il mio caso specifico, ritiene possa essere curata con l’attività fisica: andare in palestra e praticare il ciclismo mi abbassano molto i livelli dell’ansia. Ma l’arma migliore che mi ha messo in mano è la consapevolezza di quel che mi succede: so che arriveranno dei brutti pensieri che s’incuneeranno nella mia mente; che mi lasceranno stanchissima ma so che poi passeranno e starò meglio”.
Cosa ti sentiresti di dire ad altri atleti che soffrono di PTSD? “Che è ok non essere ok. Nel motor sport, ad esempio, devi dimostrare di essere uno che passa sopra a tutto, un duro che non ha paura di niente. Invece, io credo che chi dovesse avere questi sintomi dovrebbe parlarne il prima possibile. Non vanno sottovalutati. Quando ho deciso di parlarne mi sono sentita molto sola perché sembrava che nessuno sportivo italiano ne avesse mai sofferto. Certamente non è così e si deve avere il coraggio di parlarne”. Alice quest’anno correrà con una coccarda azzurra cucita sulla tuta: è il simbolo di chi lotta contro la sindrome da stress post traumatico.