Share This Article
Uno dei pesi piuma più forti degli anni ’30 morì in un lager
Questa storia inizia e finisce con una valigia. Una valigia di quelle che non si producono più. Marrone, con la chiusura a scatto, nasconde al suo interno dei vecchi guantoni, un caschetto e delle scarpette di pelle morbida da pugile. Il proprietario di questa valigia si chiama Leone Efrati, pugile italiano di origine ebraica, e questa è la sua storia.
Leone Efrati l’astro nascente del pugilato
Leone Efrati era nato a Roma nel 1915. Cominciò a salire sul ring nei primi anni ’30, allenandosi nelle palestre romane del tempo. Già dal suo debutto agonistico, avvenuto nel 1935, si impose alle cronache sportive come uno dei più promettenti pesi piuma della sua generazione. Da lì cominciò una carriera internazionale che lo portò a disputare incontri dapprima in Francia e poi negli Stati Uniti. All’apice della sua fama, nel 1939, venne inserito tra i migliori dieci pesi piuma del mondo dalla classifica dell’americana National Boxing Association. Sembra essere destinato a uno sfolgorante futuro nel pugilato. Poi entra in scena la valigia con la quale abbiamo iniziato la nostra storia. Leone Efrati la impugna e ritorna in Italia. Abbandona la sua vita di atleta negli States. C’è un richiamo più forte della gloria sportiva: deve proteggere la sua famiglia.
Le leggi razziali e il ritorno di Efrati
Infatti nel 1938 il fascismo aveva emanato le leggi razziali e le origini ebraiche della famiglia Efrati non erano passate inosservate. Lelletto, così lo chiamavano affettuosamente sia i famigliari che i sostenitori, decide dunque di ritornare in patria. Trova ad aspettare lui e la sua valigia con l’attrezzatura da pugile un’Italia molto diversa da quella che aveva lasciato. Gli ebrei erano stati espulsi da tutte le federazioni sportive e chi viveva di sport come lui fu costretto a trovare altre occupazioni. Così il pugile osannato dal pubblico e che aveva calcato i più prestigiosi ring del suo tempo comincia a vendere lacci per le strade e a fare lo “stracciarolo” ambulante.
La cattura e la deportazione di Leone Efrati
Efrati non rinunciò alla sua passione neppure durante questo periodo buio e di fatto non lo farà nemmeno quando le cose peggioreranno. Continua così ad allenarsi ogni sera nei locali della palestra Audace, una delle poche società sportive che scelse di non cacciare i suoi atleti colpiti dalla discriminazione antisemita del regime. Roma, però, è una città pericolosa per gli ebrei. Soprattutto per chi fino a pochi anni prima vedeva le sue foto pubblicate sui giornali. Infatti, riconosciuto da due delatori mentre a San Giovanni comprava un gelato al figlio Romolo, fu arrestato dalle SS il 7 maggio 1944. Padre e figlio furono destinati alla deportazione, ma mentre il piccolo Romolo riuscì a salvarsi scendendo dal convoglio prima della partenza, Leone fu internato prima ad Auschwitz e poi trasferito a Ebensee, sottocampo del lager di Mauthausen.
Le scommesse dei nazisti
La presenza di Leone Efrati nel campo di concentramento non passa inosservata. Il pugile viene costretto a battersi con altri detenuti, molto più imponenti di lui. È il prigioniero ideale per le macabre scommesse condotte dai nazisti su incontri brutali privi di ogni regola. Era anche questo un modo di sopravvivere. Ma nel suo destino l’orgoglio e la famiglia avrebbero ancora una volta prevalso. Un giorno seppe che un kapò aveva picchiato il fratello, internato nello stesso lager, e si scagliò contro di lui. Accerchiato dagli altri kapò e dalle guardie tedesche, fu malmenato fino a quando non venne ridotto in fin di vita. La sera stessa le SS di ronda nel verificare le condizioni dei detenuti lo trovarono non più in grado di stare in piedi e lo condannarono al forno crematorio.
La valigia di Efrati
Oltre alle cronache dell’epoca e ai ricordi dei famigliari, la storia di Leone Eufrati sopravvisse anche grazie a un oggetto: proprio quella valigia con cui abbiamo cominciato questo racconto. Molti anni dopo la sua morte, infatti, durante la ristrutturazione dei locali della Palestra Audace in Via Frangipane 39 a Roma, qualcuno ritrovò una vecchia valigia impolverata. C’erano ancora dei vecchi guantoni, un caschetto e delle scarpette di pelle morbida da pugile. Era la valigia di Leone Eufrati. Pronta a raccontare con la sua testimonianza tutta la sua storia, affinché non si ripeta.
Francesco Papa