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L’ex centauro forlivese del motomondiale si racconta ai nostri lettori
Loris Reggiani, che i nostri lettori conoscono per essere il fondatore della Thundervolt, è stato uno dei piloti italiani più importanti nel motomondiale dai primi anni ’80 a metà degli anni ’90 (due volte vicecampione del mondo) e poi un notissimo commentatore tecnico in tv. Lo abbiamo intervistato per far conoscere a fondo la sua storia.
“In moto per colpa di mio zio”

Come nasce il Loris Reggiani motociclista? “Fino ai 12 anni le moto non m’interessavano. A quell’età, però, conobbi un amico di mio zio che correva nella 50 Juniores con un Minarelli P6 a sei marce. Lui mi fece appassionare anche perché mi disse che con il mio fisico, magro e minuto, sarei potuto diventare un pilota competitivo. Per la prima volta, quello che consideravo potesse essere un difetto, lo vidi come un pregio. Iniziai a frequentare il suo garage nei giorni festivi e nei dopocena dove lo vedevo lavorare attorno al suo cinquantino. Così mi appassionai anche alla meccanica. Fu allora che decisi che sarei diventato un meccanico di moto e, magari, anche un pilota. A quei tempi non si poteva iniziare a correre prima dei 18 anni (16 con il permesso dei genitori), allora, arrivato ai 14 anni, con il mio primo motorino iniziai ad andare sulle salite che ci sono dalle mie parti, ne forlivese. Capii che ci sapevo fare. Compiuti i 18 anni iniziai finalmente ad andare in pista, col parere contrario dei miei genitori che non erano per niente entusiasti”.
La prima vittoria nel mondiale
Dopo la vittoria nel monomarca Aspes Yuma e il terzo posto nell’Italiano Juniores 500, esordisci nel motomondiale 125 nel 1980 a 21 anni e vinci la gara di Silverstone con una Minarelli. Cosa ricordi di quel week end? “Ricordo che in testa alla gara c’erano Angel Nieto, la prima guida della Minarelli e il francese Guy Bertin con la Motobécane. Io ero in un gruppo che inseguiva del quale facevano parte anche Pier Paolo Bianchi, che vinse quel mondiale, e gli svizzeri Bruno Kneubuhler e Hans Muller in sella alle Mba. Bertin cadde e Nieto ruppe. Ci ritrovammo in testa ed io la spuntai. Non fu una grossa soddisfazione e non me la sono goduta tanto. Sarebbe stato bello vincere in un altro modo”.
“Angel Nieto, un fenomeno”

Angel Nieto è uno dei miti del motociclismo mondiale, che pilota era? “Era un fenomeno e non credo che in quegli anni lo avrei potuto battere. E, siccome era la prima guida della Minarelli, io non gli ho mai rotto le scatole. Per me, guidare una Minarelli ufficiale era già un sogno più grande di quel che pensavo avrei mai potuto realizzare, quindi stavo al mio posto. Poi lui aveva una moto sempre un po’ più evoluta della mia. Mi ha insegnato un sacco di cose. Di tutto quello che ho imparato sulle corse, il 70% l’ho appreso da lui. Mi voleva bene e credo che capì definitivamente che tipo fossi al Gran Premio di Argentina, gara d’esordio nel mondiale ’81. Eravamo in testa ma la sua moto cominciò ad accusare problemi. Io, anziché andarmene, rimasi con lui pensando che l’avrei staccato solo se fossero arrivati altri piloti da dietro. Non arrivò nessuno e restai dietro. Da quella volta mi aiutò molto”.
“In 250 e 350 da privato”
Nel 1980 tu corresti alcune gare nella 250cc e nella 350cc con una Yamaha. Come mai? “Va spiegata una cosa: all’epoca un pilota non s’iscriveva al mondiale ma a ogni singola gara e gli organizzatori avevano delle liste di gradimento. Potevi rimanere fuori anche se eri un pilota ufficiale. Eri sicuro di essere dentro solo se eri arrivato nei primi 15 nel mondiale dell’anno prima o se facevi punti. Ebbi dalla Minarelli l’autorizzazione a correre come privato nelle categorie superiori con lo scopo di conoscere meglio le piste e qualche volta riuscii a farmi accettare. A volte in 250 e altre volte in 350. Il bello è che la moto era sempre la stessa che io e il mio amico meccanico “trasformavamo” a seconda che si corresse in 250 o in 350”.
“Vinco il Civ, quand’era competitivo”

Nell’81 arrivi secondo nel mondiale dietro a Nieto, vinci due gare e vinci anche il campionato italiano della 125. Il Civ era più competitivo allora? “Molto più competitivo. Tutti i piloti che partecipavano al mondiale correvano anche l’italiano. Io l’ho vinto contro piloti come Bianchi e Vitali, per esempio, che erano protagonisti anche nella rassegna iridata. Dall’87 in poi il Civ scese di livello perché le gare di campionato del mondo iniziarono a essere tante e i piloti più forti non ce la facevano più a partecipare”.
Anni bui
Dall’82 all’86 arrivano degli anni senza vittorie. “Succede che nell’82 accetto di correre in 500 con il team Gallina con una Suzuki semiufficiale. Con me c’è Franco Uncini che vince il mondiale. Io invece cado molte volte e mi faccio anche male. L’anno dopo, che doveva essere quello del mio lancio nel mondiale 500, succede che la Suzuki sbaglia la moto ed io, a Le Mans, ho un incidente molto grave in fondo al dritto a causa di un problema meccanico. Centro il giapponese Ishikawa che perde la vita ed io mi distruggo una gamba e un braccio. Tornai a gareggiare a fine stagione ma non ero in palla. Dissi a Roberto Gallina che in quel momento avevo paura e non riuscivo ad andare come avrei voluto. Forse mi diedi un po’ la zappa sui piedi. Lui mi disse che avrei fatto bene a scendere di categoria e non mi confermò per il 1984. Accettai la sua decisione e tornai nella 250cc da privato. Comprai due vecchie Kawasaki da Pierluigi Conforti che ero convinto avrebbero potuto competere lavorandoci un po’ sopra. Mi sbagliavo: disputai una stagione disastrosa. A volte non riuscii neanche a entrare fra i qualificati. A fine stagione non avevo più soldi così, alla fine del 1984, decisi di smettere di correre. A farmi cambiare idea fu Michele Verrini che, anni prima, mi aveva portato alla Minarelli. Mi disse che aveva un’idea. L’idea era convincere Ivano Beggio, patron dell’Aprilia, a fornirci un motore Rotax 250 da competizione. Lo montammo su una ciclistica artigianale; l’Aprilia ci costruì un telaio e comprammo delle sospensioni. E con una moto artigianale finimmo sesti nel mondiale del 1985 e due volte a podio. Così, l’Aprilia decise di partecipare direttamente al mondiale 1986. Purtroppo non potei partecipare allo sviluppo della moto perché durante l’inverno ebbi un incidente stradale praticamente uscendo dal cortile di casa. Buttai via le stampelle a marzo ma mi rimasero addosso troppi problemi fisici. La moto non andava ed io neppure. Solo verso la fine dell’anno cominciammo a capirci qualcosa”.
“Porto l’Aprilia alla prima vittoria mondiale”

Nel 1987 torni a vincere nel mondiale 250cc portando al successo l’Aprilia per la prima volta in assoluto. Succede al Gran Premio di San Marino a Misano. “Quell’anno in Aprilia costruirono una moto strepitosa. Il motore non era potentissimo però la ciclistica era eccezionale. In quell’anno la moto si fermò forse in metà delle gare ma eravamo sempre estremamente competitivi. Non vincevamo per le rotture. E a Misano arrivò finalmente la prima vittoria dell’Aprilia in un mondiale. Fu l’anno in cui mi ricordo di essere andato più forte. E finii sesto nel mondiale”.
A questo bel 1987 seguono altri anni difficili fino a una nuova vittoria, sempre con l’Aprilia, nel 1991. “Nell’88 a Noale pensarono di abbandonare il Rotax per un motore a V. Questo andava decisamente forte ma decisero anche di cambiare la ciclistica e fu un disastro. Ci trovammo nella situazione contraria rispetto al 1987: gran motore ma moto inguidabile. A fine anno decidemmo di lasciarci. Nell’89 guidai una Honda con la quale pensavo di impormi in qualche GP ma le cose non funzionarono. Nel ’90 tornai in Aprilia seppur nel team clienti di Roberto Gallina. Anche il 1990 fu un anno avaro di soddisfazioni: o sviluppavamo troppo presto quello che c’era da sviluppare, oppure ci arrivavano i ricambi che non andavano più bene per la moto ufficiale. Sia come sia nel ’91 rientrai nel team interno dell’Aprilia”.
Ancora secondo nel mondiale

Nel ’92 vinci in Spagna e ancora in Francia e sei di nuovo secondo nel mondiale, stavolta nella 250, dietro Luca Cadalora e la sua Honda. “Sono partito male per un grosso incidente patito durante i test invernali. Nelle prime tre gare non ero in forma e Cadalora le vinse tutte e tre. Tentai di rimontarlo ma quell’anno lui aveva una buona moto ed era davvero forte. Vinse meritatamente”.
Nel ‘93 vinci ancora e arrivi terzo nel mondiale. Corri ancora due anni, fino al ’95, con Aprilia ma passi nella 500cc. Come mai? “Sviluppai in pista un’intuizione di Jan Witteeven: una moto che era una 400cc. Sinceramente, pensavo che l’Aprilia ci avrebbe investito di più ma nel ’94 la moto si rompeva praticamente sempre. Nel ’95 andò un po’ meglio e conquistai due sesti posti. Alla fine di quell’anno decisi di smettere e lascia il mio posto a Doriano Romboni”.
“Ecco come arrivo in tv”

Come avviene il tuo passaggio a commentatore tecnico in tv? “Dopo aver smesso di correre decisi di dedicarmi alle gare in auto perché avevo paura della mancanza di adrenalina. Lo feci solo per un anno perché l’emozione che ti dà la moto, l’auto proprio non te la può dare… Nel 1997 Carlo Urban della Rai mi chiese se mi sarebbe piaciuto essere il commentatore tecnico del mondiale in tv. Io accettai perché era una buona opportunità per rientrare nel mio mondo. Quando passai a Mediaset cominciai a divertirmi di più anche perché c’era molta più attenzione professionale: tutti erano molto bravi e preparati. Il clima era scherzoso, eravamo tutti più liberi e meno “istituzionali” rispetto alla Rai. E poi c’erano gli approfondimenti; il dopogara… Però, dopo un po’, il lavoro diventa comunque ripetitivo. Ci sono sempre più gare, sei sempre in aereo, vedi sempre gli stessi posti e le stesse persone. A un certo punto anche il modo di fare la telecronaca mi sembrava sbilanciato: eravamo troppo attenti a Valentino Rossi. Secondo me c’erano anche altri italiani che facevano bene e li avremmo dovuti sostenere un po’ di più. Insomma, dopo 10 anni non avevo più stimoli. A un certo punto smisi. Passai a Sky per fare l’opinionista in studio. In pratica ero impegnato solo la domenica pomeriggio. Ci andai perché pensai che mi sarebbe stato utile per sostenere i miei altri progetti, in primis le Thundervolt elettriche. Era un po’ come andare al bar fra amici”.
Valentino Rossi e gli ascolti tv

Pensi che l’assenza di Rossi possa portare a un calo d’interesse verso il motomondiale tra il pubblico televisivo italiano? “Non credo. Abbiamo in gara un bel Bagnaia e un bel Morbidelli da sostenere e ammirare. Poi, in un certo senso, ci siamo già un po’ abituati alla mancanza di Rossi. Nel senso che è un po’ che non lo vediamo più davanti. Un Rossi che arriva decimo, 12esimo, 15esimo non è più Rossi… Credo che al motociclismo abbia fatto bene perdere Rossi gradualmente e non credo ci sarà questo grosso calo d’ascolti”.
La Thundervolt, una nuova sfida
Hai parlato delle tue moto Thundervolt elettriche: è una sfida bella grossa… “Quando ho provato un’elettrica, sono rimasto entusiasta dell’adrenalina che mi ha dato. Ma la Thundervolt, in realtà, l’abbiamo costruita quasi per gioco. Giusto per dare una mano a mia sorella e a suo marito che gestiscono un kartodromo e hanno i vicini che si lamentano per il rumore. Una piccola moto elettrica a noleggio è la soluzione. Ci abbiamo messo un po’ di tempo a sistemarla ma ne è uscita una moto bella e divertente per chi l’ha provata. A quel punto, visto che piaceva, abbiamo deciso di farne un business. Però non so quanto possa piacere a chi guarda una gara. Mi spiego: una Thundervolt è molto divertente per chi la guida ma credo che chi guarda una gara, si elettrizzi, oltre che per la sfida fra piloti, per il rumore del motore che ti fa capire la sua potenza. Comunque il nostro campionato è stimolante, dicono i piloti che vi partecipano. Alla fine, è bello tornare in pista da organizzatore di un trofeo monomarca. Anzi: del primo trofeo monomarca elettrico al mondo. Abbiamo messo il nostro piccolo mattoncino nella storia della moto.