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Il 29 giugno è una data fatale nella vita di Primo Carnera. Il 29 giugno del 1933 conquista la corona dei pesi massimi nella boxe, al Madison Square Garden di New York, il tempio del pugilato mondiale. È il primo italiano a riuscirci. Il 29 giugno 1967 muore nella sua casa di Sequals, in provincia di Udine, all’età di sessantuno anni. Nel mezzo, una vita fatta di cazzotti, wrestling, cinema ma anche di umiliazioni e vita da emigrante. Andiamo con ordine.
Chi è Primo Carnera?
Primo Carnera nasce a Sequals il 25 ottobre del 1906 e appare chiaro a tutti quelli che assistono al parto, che non si tratta di un neonato come gli altri. Pesa sette chili! Una cosa mai vista in paese… Carnera continuerà a crescere in maniera abnorme fino alla maturità, si fermerà soltanto dopo aver superato i 204 centimetri, un’altezza fuori dal normale per l’epoca. Anni più tardi, consultando le sue cartelle mediche, si scoprirà che era malato di acromegalia, una malattia dell’ipofisi che provoca il gigantismo, soprattutto nelle ossa del viso, delle mani e dei piedi (Carnera portava il 56 di scarpe).
La vita di colui che verrà definito dalla stampa come “il gigante buono” o “la montagna che cammina”, non sarà facile, perlomeno agli inizi. La famiglia è povera e i genitori lasciano Primo e i due fratelli minori, Secondo e Severino, per andare a lavorare in Germania, dove li sorprende la Prima Guerra Mondiale. Primo ha sei anni e rivedrà i genitori solo nel 1918, a guerra finita e a dodici anni quasi compiuti. La riunione familiare dura pochi mesi. Il padre riparte in cerca di fortuna al Cairo, in Egitto, e Primo emigra in Francia all’età di circa quattordici anni con l’idea di aiutare, anche lui, la famiglia. In Francia fa un po’ tutti i lavori pesanti che si potevano fare: dal bracciante nei campi, al muratore.
A diciassette anni è un colosso di un metro e novantasette centimetri, misura un metro e venticinque di torace e pesa centodieci chili. Fa impressione solo a vederlo. E a quell’età arriva la prima svolta della sua vita: si propone all’impresario di un circo come “fenomeno da baraccone”. Accetta quest’umiliazione pur di guadagnare qualche soldo in più e patire di meno la fame. Nel circo fa il sollevatore di uomini, di cose e di pesi (arriva fino a 150 chili) e poi si batte in incontri di lotta, spesso finti, a volte veri, con improbabili avversari. Vince e perde. E quando perde piace di più, perché il pubblico non parteggia mai per quello più grande e grosso, preferisce veder vincere chi, sulla carta, parte sfavorito.

All’età di vent’anni, la seconda svolta della sua vita. Il circo fa tappa ad Arcachon, una cittadina della Gironda, sull’oceano, non troppo distante da Bordeaux. Lo nota un ex peso massimo francese, Paul Journée, che lo convince a lasciare il circo per la boxe. Come racconterà Carnera anni dopo, Journée non fece molta fatica a fargli cambiare strada, tanto era l’avvilimento che Primo sentiva nel doversi esibire a quel modo tutte le sere. Journée lo presenta a Léon See, un giornalista/impresario che finisce per convincerlo del tutto: “Tu sarai un pugile di grande valore – gli dice – ma dobbiamo insegnarti la tecnica, allenarti, renderti presentabile”. Seguiranno due anni d’intensi allenamenti prima che il gigante italiano possa affrontare il primo vero incontro della sua carriera pugilistica.
Il decollo della sua carriera come pugile
Léon See è furbo. Sfrutta le sue conoscenze da impresario per proporre a Carnera, all’inizio della carriera, avversari di comodo, all’insaputa del friulano. L’esordio del 12 settembre 1928 contro Leon Sebilo, un peso massimo francese è emblematico: vittoria per ko al secondo round. Seguirono una serie di vittorie, tutte per ko contro avversari di poco conto, fino al primo incontro in terra italiana. Un match organizzato contro l’argentino Epifanio Islas, vinto solo ai punti tra la delusione del pubblico e della critica nazionale che si aspettava l’ennesimo ko. In effetti, nonostante la serie di vittorie, molti giornalisti pensano che Carnera sia una montatura e che non abbia le qualità per emergere. Com’è stato e sempre sarà per molti pugili spinti più dal marketing che dalle effettive capacità. Colpa anche di Léon See che in Francia lo continuava a pompare come un “fenomeno” più che come pugile, facendo pubblicare le foto delle sue enormi scarpe e facendogli sottoscrivere un contratto con un ristorante di Parigi dove Primo andava a pranzare solo per dare spettacolo, con il suo enorme appetito da gigante afflitto da una fame atavica.
Paradossalmente, saranno le prime sconfitte in carriera a far capire a Journée e a See che la stoffa c’è, eccome. Il 28 aprile 1929 perde a Lipsia dal tedesco Franz Diener per squalifica. Si prenderà la rivincita nel dicembre dello stesso anno per ko tecnico. Inanella un’altra serie di vittorie fino al doppio incontro con l’americano Stribling che prima batte a Londra e dal quale viene sconfitto a Parigi, sempre per squalifica. È soprattutto questo incontro che fa pensare a Léon See di avere trovato un pugile “vero”, un potenziale campione. Perché Stribling non è un avversario di comodo che il manager francese ha cercato. E l’incontro non è assolutamente combinato.

Carnera si batte alla grande e la sua scherma regge il confronto con quella dell’avversario. Solo il pugno non è micidiale ma non lo sarà mai durante la carriera di Primo. La fame patita da piccolo e lo sviluppo precoce hanno reso le sue ossa più fragili del normale, tant’è che Léon See, per rimediare, gli fa bere intrugli nei quali mescola ossa di pollo. Ovviamente la cura non funziona.
Da quel momento parte la carriera americana di Carnera che, però, inizia come quella europea: tanti incontri con avversari di comodo. Nel marzo 1930 combatte sei volte. In quell’anno gli incontri saranno ben ventitré con una sola sconfitta ai punti contro l’irlandese Maloney (ma Carnera è costretto a combattere con una costola lussata in allenamento). Anche nel 1931 perde una sola volta dal fortissimo americano Jack Sharkey, che sarà poi campione del mondo l’anno dopo. L’incontro fra i due è “quasi un mondiale”. Sharkey è riconosciuto fra i pugili più forti del momento (nel ’27 ha incontrato anche il mitico Jack Dempsey), mentre Carnera lo sta diventando a suon di vittorie. In quell’incontro l’americano vince ai punti ma il gigante di Sequals rischia il ko dopo che un montante di Sharkey lo raggiunge al mento. Lo salva il gong.
L’idea di un ritiro
Sia come sia, ormai Carnera è nell’olimpo della boxe mondiale. Continua a mietere tante vittorie e poche sconfitte fino a quando arriva a essere papabile per il mondiale. Lo attende una semifinale contro Ernie Shaff, un tedesco naturalizzato americano. È il 10 febbraio 1933 e Carnera mette al tappeto due volte l’avversario nel tredicesimo round. La seconda volta, Schaff non si rialzerà più: morirà in ospedale il giorno dopo per un’emorragia cerebrale. Schaff paga non tanto il match con Carnera, quanto il logorio di tutta l’attività precedente.
Il “gigante buono” è scosso e medita il ritiro. Del resto, ha guadagnato abbastanza soldi e potrebbe anche permetterselo. Però rimane il tarlo del mondiale mai conquistato. Decide così di continuare, trova un nuovo manager in Luigi Soresi, ex vicedirettore della Banca Commerciale a New York che aveva, in precedenza, curato i suoi interessi bancari. È Soresi che lo accompagna alla sfida per il titolo mondiale: ancora con Sharkey, il 29 giugno 1933 al Madison Square Garden di New York.
Il 29 giugno 1933, l’incontro del secolo!
L’incontro è a senso unico. Carnera atterra l’avversario al primo round ma non c’è conteggio. Al sesto Sharkey va giù di nuovo. Stavolta viene contato, si rialza ma subito dopo Carnera lo colpisce con un montante destro al volto che lo manda definitivamente ko. Finalmente Primo è campione del mondo. E’ il primo italiano a riuscirci e nella categoria più prestigiosa. Una vita di sofferenze è finalmente riscattata.
Carnera difenderà il titolo tre volte. Vittoriosamente contro lo spagnolo Paulino Uzcudun e l’americano Tommy Loughran e sarà sconfitto alla terza difesa dall’astro nascente, l’americano Max Baer il 14 giugno 1934. Baer, che lo aveva attentamente studiato, lo mette in difficoltà fin dal primo round e l’arbitro, all’undicesimo, decreta il ko tecnico dopo diversi atterramenti dell’italiano.
Da lì inizia un inesorabile declino pugilistico, com’è nella natura delle cose, degli uomini e dei pugili. Carnera torna a vincere quattro incontri ma sulla sua strada si presenta il talento incredibile di un giovanissimo Joe Louis che lo manda al tappeto al sesto round il 25 giugno del 1935. Poi ancora qualche vittoria fino a una serie di sconfitte, nel 1937, a trentuno anni, che sembrano chiudere la carriera. Incredibilmente, si ripresenta sul quadrato nel 1945, dopo la guerra. Batte due debuttanti e, l’anno dopo, viene sconfitto facilmente per tre volte di seguito da Luigi Musina, un suo conterraneo campione europeo dei mediomassimi e italiano dei massimi.
Gli ultimi anni di Carnera
La carriera nel pugilato è finita. Ormai quarantenne, Carnera non è più ricco come un tempo, anzi… partecipa a qualche film in veste d’attore e, su consiglio di due amici pugili, Aldo Spoldi e Saverio Turiello, si dà al Wrestling. È un po’ un ritorno alle pagliacciate da circo degli anni ’20 ma almeno recupera un po’ di denaro e torna a essere, se non ricco, almeno benestante. Per quel che vale, diventa campione del mondo anche in questa specialità in coppia con tale Bobo Brazil, un wrestler statunitense.
Partecipa a match di questa disciplina a metà fra lo sport e lo spettacolo fino al 1963, all’età di cinquantasette anni. Nel 1966 si ammala e perde di colpo trenta chili. Pur avendo preso la cittadinanza americana nel 1953, torna nella sua Sequals nel maggio del 1967 assieme alla moglie. Ai figli Umberto e Giovanna dice: “Torno appena guarisco”. Muore il 29 giugno di quell’anno. Trentaquattro anni prima, in quella data, aveva conquistato il mondiale. Riposa nella tomba di famlglia nel cimitero di Sequals.