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Questa sarebbe dovuta essere l’estate delle Olimpiadi. Non è andata così e sappiamo perché. Il Covid19 ci ha negato imprese al limite dell’umano e atleti da venerare come eroi omerici. Allora, facciamoci carico di questo “vuoto” e riempiamolo con la storia di una lontana e ormai dimenticata leggenda dello sport olimpico. Raccontiamo la storia di “Sentiero Lucente“.
Chi è Jim Thorpe?
Si narra che il primo ad accorgersi delle incredibili qualità atletiche di Jim Thorpe sia stato Glenn “Pop” Warner, l’allenatore d’atletica della Carlisle Indian School in Pennsylania. Thorpe è una “matricola” e si ferma ai bordi della pedana a guardare i ragazzi più grandi di lui che si allenano nel salto in alto. Con scarsi risultati. Warner è su tutte le furie: non riesce a far capire la tecnica di approccio all’asticella ai suoi atleti. A Thorpe questa cosa sembra facilissima. Così, dopo un po’ che è lì, si alza, si arrotola i pantaloni lunghi e, in maniche di camicia e scarpe da passeggio, salta 1,85 metri. Warner rimane a bocca spalancata. Siamo nel 1907.
Da quel momento Jim diventa un atleta di punta del suo College ma, quel che più conta, comincia a essere un autentico fenomeno dello sport, prima americano e poi mondiale. Non male per un meticcio del quale si ignora sia la data esatta di nascita (28 maggio 1887 o 1888, a seconda delle fonti), sia il luogo (una riserva indiana vicino a Bellemont o a Prague, cittadine dell’Oklahoma). Il padre Hiram (nato da madre indiana e padre irlandese) e la madre Charlotte (madre indiana e padre francese) della tribù dei Sac e Fox, lo allevano come un nativo: il suo vero nome è Wa-tho-Huck, Sentiero Lucente. All’anagrafe “ufficiale” diverrà Jacobus Franciscus Thorpe, detto Jim. L’educazione indiana è probabilmente uno dei suoi punti di forza. Impara prima degli otto anni a nuotare, andare a cavallo, sparare col fucile. Quando va a caccia, compete nella corsa con i cani da riporto. E capita pure che li batta. E’, insomma, un atleta naturale che si è “allenato” fin da bambino in maniera ancora più naturale.

Warner e gli altri allenatori della Carlisle lo prendono sotto la loro ala. In breve, Jim diventa una “macchina sportiva”, nonostante non sia uno studente “facile”. La scuola non gli è mia piaciuta e il suo percorso universitario non è lineare. Abbandona gli studi e va a lavorare in una fattoria. Però, dopo più di un anno, torna all’università. Questa irrequietezza sarà il suo tallone d’Achille nel periodo della vita che seguirà lo sport. Sia come sia, alla Carlisle eccelle in tutte le discipline che pratica: atletica, football americano, baseball, lacrosse, pallacanestro, tiro con l’arco, canottaggio, nuoto… Nel football americano universitario compie imprese ancora oggi sbalorditive.
Nel 1911, giocando da running back, segna tutti i punti in una partita contro Harvard finita 18 a 13 per gli “indiani”. Nel 1912, in una sfida tra Carlisle e West Point, la nota accademia militare, segna un touchdown da 92 yarde che viene però annullato per un fallo di un suo compagno di squadra. Nell’azione seguente, ne segna uno con una corsa da 97 yarde. Stavolta è valido. Mai visto niente di simile. Una curiosità: in quella partita, con West Point gioca un certo Dwight D. Eisenhower, che sarà costretto a uscire dal campo per un infortunio al ginocchio che gli costerà la carriera sportiva. Poco male. Diventerà il trentaquattresimo presidente degli Stati Uniti nel 1953.
La grandezza di Thorpe nell’atletica
Un aneddoto che racconta bene la grandezza di Thorpe è legato all’atletica. Carlisle deve affrontare l’università di Lafayette e spedisce in trasferta due soli atleti, Jim e un altro indiano: Lewis Tewamina, fortissimo sulle distanze lunghe. Quando arrivano in stazione, ad attendere gli atleti della Pennsylvania ci sono il sindaco, gli organizzatori, la banda cittadina e migliaia di persone, attirate dalla notorietà di Thorpe. Figuratevi la loro sorpresa quando vedono scendere dal treno solo due ragazzi. “Ma come!?” – chiedono a Jim – “e la vostra squadra dov’è?”. “La squadra siamo noi due. Basteremo”. Fu così. Tewamina vinse le corse sul miglio e sulle tre miglia, Thorpe tutte le altre.
Il 1912 è l’anno emblematico nella sua carriera sportiva. Ci sono le Olimpiadi di Stoccolma, le quinte dell’era moderna. Che “Sentiero Lucente” venga convocato, è fuori da ogni dubbio. Ma in quali specialità farlo concorrere, vista la sua forza? Ovviamente si propende per le prove multiple, decathlon (all’esordio olimpico ufficiale) e pentathlon (che allora prevedeva salto in lungo, giavellotto, 200 metri, lancio del disco, 1500 metri e non aveva niente a che vedere con l’attuale Pentathlon moderno). Naturalmente Thorpe va e stravince. Nel pentathlon s’impone in quattro gare su cinque (nel giavellotto arriva “solo” terzo). Nel decathlon si piazza tra i primi quattro in tutte le specialità, siglando con 8412,955 il nuovo record olimpico che resterà imbattuto fino al 1927 lasciando il secondo, lo svedese Hugo Wieslander, a più di 700 punti. E’ il trionfo annunciato.

Sarà però una gioia di breve durata. Sei mesi dopo l’olimpiade, nel gennaio del 1913 un giornale (il Providence Times o il Worcester Telegram, le fonti sono discordanti), pubblica un articolo nel quale si sostiene che nel 1909 e 1910 Thorpe ha giocato da professionista partite di baseball nel North Carolina. E’ vero. Jim prova a discolparsi sostenendo che ignorava le regole del dilettantismo olimpico di allora. Non c’è niente da fare: le due medaglie d’oro gli vengono tolte e il suo nome scompare dagli albi d’oro delle olimpiadi per decenni. Come non fosse mai esistito.
La sua promettente carriera sportiva e il declino
Ci rimane male, tuttavia ha una carriera più che promettente da affrontare nel baseball e, soprattutto, nel football americano. Gioca contemporaneamente ad alti livelli in tutti e due questi sport, alternandoli: in primavera ed estate di dedica al primo, in autunno e inverno al secondo. Con i Canton Bulldogs, una squadra di football dell’Ohio che lo paga ben 250 dollari a partita e che fu tra le fondatrici, nel 1920, di quella che è oggi la NFL, vince i campionati del 1916, 1917 e 1919. Poi passa ad altre squadre giocando fino al 1928. Per darvi l’idea della sua grandezza, nel 2009, ottantuno anni dopo il suo ritiro, è stato classificato al numero 37 fra tutti i giocatori mai apparsi nella National Football League.
Finite tutte le carriere sportive possibili, inizia per Thorpe un veloce declino verso l’abisso. Tre matrimoni e otto figli, il vizio del bere, la grande crisi del ’29, lo mettono in croce. I soldi finiscono presto ed è costretto ad accettare i lavori più disparati. Nel 1931 fa il manovale a Los Angeles a quattro dollari l’ora; poi la comparsa cinematografica; poi il guardiano notturno. Tutto, pur di guadagnare qualche soldo. Nel 1941, allo scoppio della seconda guerra mondiale, chiede di essere arruolato in Marina. Ha 53/54 anni e lo imbarcano su un mercantile. Nel 1952 esce anche un film sulla sua vita, “Jim Thorpe All American”. Il protagonista è Burt Lancaster e in Italia sarà noto col titolo di “Pelle di Rame”. Peccato avesse ceduto anni prima i diritti sulla realizzazione e dunque neanche da questa iniziativa ottiene significativi guadagni. Continua a bere e proprio nel 1952 si ammala di cancro a un labbro. Viene curato gratuitamente in un ospedale per poveri di Baltimora. Il 28 marzo del 1953 è trovato morto in una vecchia roulotte poco fuori Los Angeles. La sua ultima casa.

Tuttavia la sua storia non si chiude con la sua morte. La terza moglie, Patricia, vorrebbe dedicargli un memoriale a Shawnee, in Oklahoma, praticamente il posto nel quale era nato. Il progetto, però, non trova l’assenso del governatore dell’epoca. Decide allora di trasportare i resti a Tulsa, affermando che lì gli avrebbero dedicato un monumento commemorativo. Non è vero. L’ultima signora Thorpe è evidentemente in cerca di “monetizzare” la morte del famoso marito. Le vengono in soccorso le cittadine di Mauch Chunk ed East Mauch Chunk, in Pennsylvania, che vogliono attirare turisti. Patricia si accorda con i funzionari dei due municipi e trasla, dietro compenso, le spoglie di Jim a Mauch Chunk. Poi le due cittadine si fondono assieme e prendono il nome di Jim Thorpe. Così uno dei più grandi atleti di tutti i tempi trova finalmente un luogo dove riposare, a soli 160 chilometri dall’Università nella quale ha passato i migliori anni della sua vita. Un bel posto, fra le montagne e le cascate Onoko, antiche terre dei nativi americani.
Nel 1982 il CIO, il Comitato olimpico internazionale, lo riabilita e, il 18 gennaio 1983, riconsegna ai figli le medaglie vinte nel 1912. Da quel giorno Sentiero Lucente riposa davvero in pace.