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Durante le nostre escursioni, spesso ci sarà capitato di osservare delle piccole pozze d’acqua circolari, del diametro di dieci-venti metri, situate in zone pascolive, a volte abbandonate, altre volte ancora in uso.
La loro funzione in effetti appare intuitiva: permettere agli animali al pascolo di abbeverarsi. Ma, in realtà, queste pozze sono un vero e proprio microcosmo ambientale, tutto da scoprire, tra l’altro al centro di numerosi progetti di recupero ambientale lungo l’arco alpino.

Antiche origini
La necessità di abbeverare gli animali al pascolo ha fatto nascere, da secoli, la necessità di creare piccole riserve di acqua anche in quota, e anche in zone prive di torrenti o sorgenti: sfruttando naturali depressioni del terreno, rese impermeabili con argilla pressata o foglie di faggio costipate, sono state così create preziose riserve idriche a beneficio delle mandrie al pascolo. Pozze a volte entrate nella toponomastica locale, come ad esempio la “Pozza del lino” (usata anche per irrigare coltivazioni di questa preziosa fibra tessile), o la “Pozza dei Sette Termini”, per rimanere nella sola provincia di Bergamo.
Questi laghi in miniatura, se così possiamo definirli, sono diventati anche l’habitat ideale per molte specie di anfibi e insetti cosiddetti specializzati, con un ruolo non secondario nella tutela della biodiversità, con i primi interventi di studio e di ripristino avvenuti addirittura negli anni ‘20 del ‘900 in Trentino.
Il progressivo abbandono dei pascoli ha fatto scomparire molte di queste pozze, ma in tempi recenti stiamo assistendo a numerosi interventi volti al ripristino e alla creazione ex novo di questi piccoli bacini, con un duplice scopo: favorire le attività di alpeggio e tutelare la biodiversità.

Le pozze non sono tutte uguali
Gli attuali progetti di ripristino e di realizzazione di nuove pozze sono ovviamente portati avanti con criteri scientifici e ambientali precisi – alcuni dei quali ben individuabili anche da non specialisti – con sostanzialmente tre tipologie: la “pozza naturalistica”, con l’obiettivo primario di tutelare la biodiversità locale, escludendo l’uso zootecnico; la “pozza di abbeverata” vera e propria e la “pozza serbatoio”, destinata a rifornire abbeveratoi situati a valle, tramite un sistema di tubazioni.
Le “pozze naturalistiche”, in genere di piccole dimensioni, sono completamente perimetrate da una protezione fisica – in pratica un parapetto in legno – per impedirne l’uso agli animali da pascolo, e consentirlo, viceversa, ai piccoli anfibi e alla fauna selvatica. Da segnalare progetti specifici mirati alla tutela della Bombina variegata, o Ululone da ventre giallo: un piccolo anfibio così chiamato per il tipico canto che emette nel periodo riproduttivo, costituito da una serie di “uuh… uuh… uuh…”, ripetuti anche più di 40 volte al minuto.
In casi particolari, queste pozze possono essere adibite anche all’abbeverata, ma in questo caso deve essere previsto un vero e proprio cancello, di larghezza limitata, con il fondo di accesso rivestito in pietra (o comunque selciato), in modo che non possa essere danneggiato dal calpestio degli animali, e che gran parte del perimetro della pozza mantenga le proprie condizioni di naturalità.

Le “pozze di abbeverata” classiche sono invece liberamente accessibili agli animali da pascolo, mentre le “pozze serbatoio”, come dice il nome stesso, costituiscono una riserva di acqua, a volte rifornita anche da sorgenti, destinata ad alimentare una serie di vasche di abbeverata situate più a valle. Anche queste vasche sono in genere perimetrate, per impedire l’abbeverata diretta.
Tranne le “pozze serbatoio”, la profondità di queste riserve idriche non supera il metro, o poco più, e sono inevitabilmente molto influenzate dall’andamento delle precipitazioni piovose, e dalla quantità di neve caduta in inverno, non essendoci generalmente presente alcuna sorgente per alimentarle.
Pur nella loro sintesi, crediamo di avere fornito sufficienti elementi per poter osservare con più attenzione e cognizione di causa le varie pozze che incontreremo nel nostro “andar per monti”: luoghi molto meno banali di quanto si potrebbe pensare in prima battuta.