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Ripercorriamo la carriera del torinese Roberto Rolfo
Roberto Rolfo è stato un pilota di punta della 250cc tra la fine degli anni ’90 e i primi anni duemila tanto da diventare vice campione del mondo nel 2003. Torinese di nascita, vive a Lugano dal 2001. I nostri lettori lo hanno sentito nominare perché abbiamo parlato della sua scuola di pilotaggio, la RR44, dove trovano spazio anche le pit bike. “Ho iniziato proprio dalle pit bike! – Ci dice il popolare “Roby” – La scuola è partita nel 2017 ma già dal 2016 avevo richieste da persone che correvano in pista con le ruote piccole. L’anno dopo ho iniziato e ho affiancato alle pit le moto da strada. La scuola sta andando bene. L’anno scorso ho messo insieme ben 35 date fra corsi in Svizzera e corsi su circuiti italiani. Mi dà molta soddisfazione perché vedo un notevole miglioramento da parte di chi partecipa”.

L’esordio nel motomondiale
Il tuo esordio nel motomondiale avviene nel 1996. Avevi sedici anni. Che ricordi hai? “Correvo nell’Europeo ed ebbi due wild card per il Mugello e Imola. Ricordo che il ritmo di gara era assolutamente superiore a quello al quale ero abituato. E anche la messa a punto della moto era più complicata: dovevi saper lavorare bene sui rapporti del cambio; sulla carburazione…. L’impatto in un campionato nel quale Max Biaggi era il punto di riferimento, fu tosto: mi ricordo che mi passò con estrema facilità. Ma fu un’esperienza molto bella e utile. Capii che avrei dovuto passare nel motomondiale solo una volta acquisito quel ritmo gara. Così nel ’97 rimasi dov’ero ed entrai nel ’98. Da allora, fino ad oggi, ho solo disputato gare internazionali”.
Dal 1998, si può dire che sei stato nel motomondiale fino al 2005. Sei d’accordo nel dire che le tue migliori stagioni sono state il 2001, 2002 e 2003? “Decisamente. Anche perché nel ’98 e nel ’99 corsi con delle moto private e nel 2000 disputai solo qualche gara. Invece nel 2001 gareggiai con il team Aprilia e finii quarto nella classifica finale con due secondi posti, due terzi posti e tanti piazzamenti”.

Dall’Aprilia all’Honda
Nel 2002 passi alle Honda del team Gresini. Come mai? “Oggi mi pento di essere andato via ma i posti “buoni” erano tutti presi. Melandri era la prima guida e con lui c’era Fonsi Nieto. Per l’anno dopo sarebbe arrivato Manuel Poggiali che aveva già il contratto firmato in mano. Non vedevo molto futuro per me in Aprilia. Probabilmente sarei finito in un team esterno con una moto falsamente ufficiale ma in realtà privata. Così passai in Honda che comunque andava bene. Ci mancò un po’ d’assistenza dalla casa madre che, contando su Valentino Rossi nella neonata motogp, decise di puntare tutto su quella classe. Io avevo del materiale non adatto alle mie caratteristiche fisiche e Gresini disse che non me ne poteva fare di nuovo perché toccava alla Honda, la quale però disse di no. Ottenni comunque cinque secondi posti e due terzi posti e finii terzo nel mondiale. Il mio compagno era Emilio Alzamora, attuale manager di Marc Marquez che aveva vinto un mondiale nella 125 nel 1999. Era lui il primo pilota del team ma io andai molto meglio. Fu Melandri a vincere e secondo arrivò Fonsi Nieto con l’altra Aprilia. Troppo forti per la mia Honda”.
Il mondiale del 2003

Nel 2003 vinci due volte, in Germania e Australia e finisci secondo nel mondiale dietro all’Aprilia di Manuel Poggiali. “Quella in Germania fu la mia prima vittoria e la inseguivo dall’anno prima quando non era arrivata per alcune combinazioni sfavorevoli. Nel 2002, al Sachsenring, la gara fu fermata per pioggia quando ero in testa ma valeva la classifica del giro prima, nel quale ero secondo. A Brno avevo perso per un grippaggio… Insomma, aspettavo da molto la vittoria e fui contento che fosse arrivata proprio al Sachsenring, uno dei circuiti che prediligo. Mi ricordo che ero partito davanti e avevo staccato tutti. In quel periodo Poggiali era in difficoltà con la messa a punto della moto. Dopo un po’ vennero a prendermi Fonsi Nieto e il francese Randy De Puniet, anche lui su Aprilia. Battagliammo fra noi tre e vinsi tenendo la testa per tutto l’ultimo giro”.
Gli anni difficili
Dopo arrivano anni un po’ più difficili dal punto di vista delle vittorie. “Nel 2004 la Honda mise mano alla moto. Per me era troppo piccola e non mi ci adattai. Vinsi una gara ma fu un campionato deludente. L’anno dopo passai in motogp ma ci rimasi solo un anno. Finita la stagione avrei dovuto continuare ma sia la Dorna che la Dunlop avevano bisogno di un pilota inglese e, così, al mio posto arrivò qualcun altro. Andai in Superbike ma fu un ripiego. Solo nel 2007 ebbi un’annata discreta con una Honda con la quale arrivai due volte quarto e ottavo nel mondiale. Nel 2010 rientrai nel motomondiale in Moto2 e riuscii a vincere ancora una volta, in Malesia, e andai a podio in Germania, sul mio amato Sachsenring”.
Dopo un’altra puntata nella motogp nel 2012, passi al mondiale supersport nel 2013 dove la prima vittoria arriva solo nel 2017 con una MV Agusta F3 675 ma, a un certo punto di quel campionato, vieni sostituito. “Il team aveva finito i soldi e hanno dovuto cercare un pilota che gli portasse uno sponsor. All’inizio andavamo fortissimo, io vinsi subito in Australia e tenni la testa del mondiale all’inizio ma poi a Misano, a giugno, non avevamo più budget”.

Le vittorie mondiali nell’endurance
Torniamo alle note liete. Dal 2018 corri nel mondiale endurance categoria Stock con una Yamaha R1 e arrivano, finalmente, i titoli mondiali 2019 e 2020. E’ una competizione particolare, si guida per molte ore, i piloti che si alternano sulla moto sono due o tre. C’è seguito? “Da noi in Italia non tanto anche se l’interesse sta crescendo perché comincia a essere frequentata da piloti italiani. La qualità si sta alzando e le gare sono combattute. Quest’anno torneremo anche a Spa riportando le moto sullo storico circuito belga. In endurance il clima è un po’ come quello di una volta, più umano. Le marche importanti ci sono tutte: Honda, Bmw, Yamaha, Suzuki. E’ un campionato molto considerato dalle case costruttrici e a me piace. Quest’anno lo affronto sempre in sella a una Yamaha ma con un team nuovo: l’OG Motorsport by Sarazin e nuovi compagni di squadra. Proviamo a vincere perché il potenziale c’è. Anche se sarà una stagione molto impegnativa. Dovremo affrontare ben tre 24 ore: Le Mans, Le Castellet (il Bol d’Or) e Spa. Ci sarà anche una 12 ore in Portogallo. Non sarà facile”.

“Devo fare 44”
E’ vero che andrai alla 8 ore di Suzuka anche a costo di pagarti da solo la trasferta come si è letto da qualche parte? “La 8 ore di Suzuka non fa parte del campionato endurance stock ma è una gara storica, dal fascino particolare. Io non ci sono mai stato e diciamo che mi piacerebbe. Vediamo…”.

Hai obiettivi di lungo periodo? “Mi piacerebbe correre fino a 44 anni e adesso ne ho 42. Ovviamente restando competitivo come lo sono ancora oggi. Vorrei arrivare a 44 perché è il mio numero fortunato. Anche la mia scuola di pilotaggio si chiama RR44”.