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La settimana scorsa abbiamo conosciuto Renato Berruti, il nostro nuovo collaboratore che si occuperà di raccontarci qualche bella storia di vita vissuta in montagna e qualche sua impresa nella chiodatura di vie per l’arrampicata, in particolare a Finale Ligure.
“Anziché Finale, di cui sicuramente avremo modo di parlare in seguito, se non vi spiace vi racconterei volentieri di Alpicella e del Team Vecchie Beline. Per moltissimi anni ho arrampicato insieme ad un paio di amici storici. Con Marco, uno di questi, ho realizzato alcune salite di buon livello sulle nostre alpi e sul Monte Bianco. Nel tempo questo sodalizio si è allargato e, a cavallo tra la fine degli anni 90 e il 2012, il nostro gruppo si è impegnato molto anche sul fronte delle chiodature di vie nuove. Ci siamo anche divertiti un sacco a darci un nome, squisitamente derivato dalla parlata ligure; ed infatti in quei primi anni 2000 è nato il ‘Team Vecchie Beline’. Immagino sappiate, più o meno tutti, i vari significati e declinazioni che assume questo noto termine ligure, a seconda delle situazioni e dei contesti.” Inizia il suo racconto Renato.

La scoperta di Alpicella e del Monte Castellaro
Nel 2003/2004 avevamo appena ultimato alcune vie di 4/5 tiri sul versante nord della Rocca di Perti a Finale, vie come: Anna Pagnini, via attraverso il fico, Vecchie Beline (appunto), Pilastro Grigiastro solo per citarne alcune, quando la nostra attenzione, in occasione di una visita nella zona di Alpicella, fu attirata da una struttura rocciosa di fronte al paese, a pochi chilometri da Varazze, nell’immediato entroterra, ed inserita nell’importante area del Geo Park del Monte Beigua. Il Monte Castellaro, così si chiama questa formazione rocciosa alta circa una settantina di metri, ci stupì al punto che rimanemmo letteralmente incantati.
Infatti, capimmo subito la potenzialità del sito, sarebbero uscite come minimo 50 vie di roccia di livello medio, il livello di difficoltà che ho sempre cercato di valorizzare in tutti questi anni, affinché tutti ne possano fruire. Di lì a poco incominciarono i lavori di disgaggio e pulizia. Vi lascio immaginare il nostro stupore nel constatare che dietro quella corazza di edera e vegetazione, rami incastrati, massi in bilico, ragnatele e animali di ogni genere, si potesse celare questo bellissimo “gigante buono”, un gigante che aspettava soltanto che qualcuno lo liberasse rendendolo pulito, asciutto, sicuro. In una parola accessibile.

Le prime fasi della chiodatura
Prima di arrivare alle vie tracciate in quel sito che, per inciso, sono 55, ci informammo presso i pochi negozi della zona su chi fosse il proprietario o i proprietari dei terreni su cui si erge il Castellaro, e venimmo a sapere di due fratelli che svolgevano l’attività di boscaioli taglialegna i quali, prontamente contattati, non solo ci dettero il loro permesso a proseguire i lavori, che erano da poco iniziati, ma diventarono anche dei cari amici con i quali, in almeno un’occasione, andammo anche a fare bisboccia insieme. Abbiamo in quelle settimane incaricato un geologo di analizzare il tipo di roccia e la sentenza fu: metabasiti in facies scisti verdi, roccia bella, compatta, porosa adattissima ad essere salita, ma anche diversissima da Finale. Motivo in più per valorizzarla e creare una piccola alternativa al più noto e vasto comprensorio Finalese.
Gran parte delle vie di roccia furono nominate prendendo ispirazione dalle cose che ci succedevano o dalle tante “battute” che qualcuno pronunciava, mosso dall’ilarità del momento. Nacquero così vie come “Focaccia e Genepy” perché un giorno che eravamo a chiodare e avevamo la focaccia come unico cibo ma ci eravamo dimenticati sia l’acqua che il vino, Dino (all’epoca quasi ottantenne) tirò fuori una bottiglia di genepy. Oppure vie come “I Templari della Farinata” cioè noi, tutti amanti di questo noto cibo savonese.
Ricordo con grande piacere quei momenti di pura gioia, libertà, semplicità, e poi, una volta chiodate le vie, salirle per la prima volta, passare dove nessuno era mai passato prima, dare forma e consistenza a quei gesti atletici necessari per la progressione, capire che quel passaggio lo risolvi ‘così’ invece che ‘così’ salire per la prima volta ‘Beline Volanti’ dove c’è un passaggio che lo devi fare al volo, gettandoti quasi nel vuoto verso un buon appiglio. La grande gioia nel veder prendere forma questo bellissimo sito di arrampicata, immerso nel bosco, al fresco d’estate, quando a Finale fa un caldo che non si può stare.

La nuova palestra di arrampicata
Dopo 15 mesi di lavori, aiutati anche da un sito web di arrampicata, divulgammo la notizia che avremmo inaugurato la nuova palestra di arrampicata, ed infatti quel giorno (era il 12 Novembre 2006) vennero oltre 50 persone a trovarci, tutte pronte a salire le nuovissime vie di roccia. La cosa buffa è che, tempo un paio d’ore, ‘saltarono’ fuori dagli zaini, frittate, salami, panini, formaggi, una sequenza di bocce di vino da far impallidire i bevitori più assidui. Come sempre, come in qualunque occasione della mia vita alpinistica, la goliardia e l’affrontare la vita in modo leggero mi hanno sempre accompagnato nel mio cammino.
Sono molto legato a questa palestra di roccia, non solo per ciò che ha significato per tutti noi che l’abbiamo scoperta e valorizzata, ma ancor più perché è diventata comoda meta di frequentazione da parte di climbers provenienti da tutto il Piemonte o dal Levante Genovese, oltre che da parte di corsi del CAI, o del Soccorso Alpino. Ad Alpicella prima o poi ci vengono un po’ tutti, forse anche attirati dal clima di sobrietà, per nulla competitivo, che vi si respira o semplicemente perché si evitano a volte code autostradali interminabili.
Dal momento in cui ‘battezzammo’ ufficialmente questa palestra di roccia, sentii la necessità di dotarla di una guida di facile consultazione ed infatti dopo pochi mesi nacque la 1° edizione della “breve guida alle vie di roccia sul gruppo del MONTE CASTELLARO” pensata, graficamente impostata e stampata da me fino alla 2° edizione. Per la 2° edizione mi affidai ad una tipografia e la qualità globale dell’elaborato migliorò molto. Oggi siamo alla 3° edizione, disponibile presso il bar della piazza del paese.

La chiodatura è per tutti?
Innanzitutto, va detto che la pratica dell’Alpinismo, e nello specifico la pratica dell’arrampicata su roccia, è uno sport o una disciplina che ciascuno pratica a suo esclusivo rischio e pericolo, questo significa che chi sale un determinato itinerario di roccia deve assicurarsi che sia sicuro dal punto di vista della chiodatura, deve verificare la compattezza della roccia, deve stare attento a scegliere gli appigli ai quali affidare la progressione. Detto questo come necessario preambolo, ne consegue che non esiste alcuna responsabilità civile ancorché penale per coloro i quali attrezzano le vie di roccia.
Va da sé però che, trattandosi di un argomento serio dove possono esserci implicazioni quantomeno di ordine morale, è consigliabile che a chiodare le vie di roccia siano persone di comprovata esperienza, che utilizzano i migliori materiali e che si avvalgono di strumenti efficienti. La questione però è anche di ordine pratico ossia sarebbe meglio che in una determinata falesia o gruppo di falesie si adottasse un sistema di chiodatura il più omogeneo possibile, faccio un esempio: è totalmente senza senso che, a fronte di uno stile di chiodatura adottato generalmente dai chiodatori di Finale e che preveda una distanza da un ‘resinato’ (chiodo di assicurazione) al successivo di 2/2,5 metri, ci sia qualcuno che si dispone a chiodare, magari senza esperienza, lasciando tra un chiodo e l’altro una distanza doppia.
E’ pertanto sconsigliato a chi non ha l’esperienza necessaria cimentarsi in questa pratica anche se, in linea teorica, chiunque sarebbe libero di farlo.
L’unico consiglio che mi sento di dare a chi volesse inderogabilmente cimentarsi in questa pratica è il seguente: prima di farlo, mettetevi in contatto con chi lo fa abitualmente, con chi, abitando nelle vicinanze di una determinata falesia, ha contribuito indiscutibilmente alla sua valorizzazione nel tempo. Questo approccio, che evidentemente presuppone una certa dose di sensibilità ed umiltà, sarebbe auspicabile al fine di evitare che nascano vie mal chiodate, insicure, troppo vicine ad altre già esistenti (non si può e non si deve disseminare di vie di roccia, in modo scriteriato, una parete) o addirittura molto pericolose.