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Nella notte tra domenica e lunedì scorsi, nella Val d’Ayas, in Valle d’Aosta, un’escursionista cinquantenne ha perso la vita scendendo dalla vetta del Monte Zerbion (2719 metri). Una tragedia per certi versi assurda, causata non da una rovinosa caduta lungo una difficile parete o uno scosceso canalone, ma semplicemente dal freddo, complice un equipaggiamento del tutto inadeguato alla stagione e alla quota.

“Non ho partecipato direttamente all’intervento di soccorso – spiega Mauro Cout, guida alpina di Issogne e operatore del Soccorso Alpino ed elisoccorso valdostano – ma da quanto riferito dai colleghi, una volta raggiunta la vetta dello Zerbion, l’escursionista ha iniziato la discesa, per poi letteralmente “bloccarsi” e paralizzarsi in corrispondenza di un breve tratto di neve presso il Col Portola (a circa 2400 metri di quota), che aveva peraltro percorso in salita poche ore prima. Probabilmente la donna ha iniziata a farsi prendere dalla paura, se non dal panico, trovandosi di fronte al ripido tratto innevato, forse fattosi più duro e compatto con l’avvicinarsi del tramonto. Di fatto, non è riuscita a percorrere a ritroso il medesimo tratto seguito in salita: sarebbero bastati dei banalissimi ramponcini, o una piccozza, per scendere senza alcun rischio”.

“Pur dotata di telefono cellulare – prosegue la guida alpina – l’escursionista ha chiamato il marito, ma non il numero unico di emergenza per allertare i soccorsi organizzati. Un ritardo fatale, complice l’abbigliamento molto leggero e le basse temperature che seguono il tramonto: l’allarme alla nostra centrale operativa di soccorso è infatti giunto solo verso le 22. I soccorsi hanno poi ritrovato la donna letteralmente sdraiata sulla neve, in condizioni ormai disperate, tanto che sarebbe deceduta poco dopo”.
Una tragedia che ripropone la necessità di affrontare la montagna sempre ben equipaggiati, sia tecnicamente sia nell’abbigliamento, senza mai sottovalutarla. Con un ultimo, prezioso consiglio: “Spesso – sottolinea Mauro Cout – in condizioni di difficoltà le persone si lasciano prendere dall’ansia, dalla paura, dal panico. Pur dotati di telefono cellulare, molte volte telefonano alle “persone che si conoscono” – marito, moglie, fratelli etc. – e non alle “persone che possono aiutare”, ovvero il numero unico di emergenza 112. Bisogna cercare di mantenere sempre quel minimo di calma per compiere le azioni giuste, o anche per non compiere le azioni sbagliate”.