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Nel 2017 lo Yoga è stato dichiarato patrimonio dell’umanità ed è stata istituita una giornata a esso dedicata che cade il 21 di giugno.
Ma a cosa si deve tanta fortuna? Non si può rispondere a questa domanda senza prendere in considerazione la storia millenaria di questa disciplina, nel corso della quale lo Yoga ha subito un lento ma inesorabile processo di cambiamenti che lo hanno portato ad essere quello che noi oggi conosciamo e pratichiamo, senza per questo essere snaturato. È stata una trasformazione di forma più che di sostanza, che si è tradotta in un radicale cambiamento dei metodi di insegnamento.
In origine, la disciplina poteva essere appresa solo attraverso il guru, il maestro che godeva di autorità indiscussa e a cui si doveva obbedienza totale. Il guru poteva avere un solo discepolo alla volta, preferibilmente appartenente alla casta dei brahmani. Il rapporto che univa il maestro al discepolo era esclusivo e segreto, suggellato dalla dikshia, la cerimonia che permetteva all’allievo di ricevere quel mantra personale che era la sola chiave d’accesso all’intero percorso di conoscenza.

Anche la successione da un guru all’altro non era lasciata al caso: la Paramparà era la cerimonia con la quale veniva nominato il successore del maestro, quando questo era ancora in vita.
Alla luce di tutto ciò, appare evidente quanto lo Yoga, per come era gestito, non poteva essere alla portata di tutti.
Nel corso dei secoli è avvenuto un processo di democratizzazione
Il rapporto tra maestro e discepolo, da esclusivo e di casta quale era, ha saputo declinarsi in modelli di insegnamento più aperti e liberi, tanto che oggi ciascun maestro può trasmettere le proprie conoscenze teoriche, filosofiche e pratiche a molti allievi contemporaneamente, allievi che, a loro volta, hanno la possibilità di conoscere più maestri e di scegliere quello che viene considerato il migliore, sia dal punto di vista della preparazione che dell’aspetto comunicativo.

Questo processo di democratizzazione che ha fatto la fortuna della Yoga così come oggi lo conosciamo, ha saputo comunque mantenere vivo quell’antico e forte legame che univa maestro e discepolo, il cosiddetto sampradaya, coniugando sapientemente libertà e senso di appartenenza.